Leggende urbane: storie e leggende milanesi
Passeggiare per una grande città, come Milano,
significa imbattersi, a ogni angolo, in un pezzo di storia e cultura, ma anche,
se si guarda oltre la foschia in cui è immersa la vita dei mortali, in pezzi di
leggende che, nonostante il trascorrere degli anni, sono ancora reali. Vivide.
In mezzo a noi. Non a tutti è consentito vedere quel che si cela nell’ombra,
solo a chi ha “occhi antichi, abituati a guardare”. Agli altri le cose
scivoleranno via, nella coda dell’occhio.
“Sotto l’asfalto e il cemento di Milano, sotto la nebbia e lo smog e il frastuono del traffico si muovono forze invisibili, antichissime e molto, molto potenti.”
Se passate vicino a Corso Magenta, e infilate in Via
Gorani, potete vedere i resti del palazzo ove dimorava l’omonima famiglia che,
tra i tanti membri, ha avuto un illustre e singolare rappresentante, il conte
Giuseppe Gorani. Nato a Milano nel 1740, è stato molte cose in vita: uno
scrittore, un diplomatico, un avventuriero, spesso al servizio di questo o di
quel governo. Di lui, il Dizionario Biografico degli Italiani fornisce
un’attenta biografia storica, ma a noi, che
interessa andare oltre la storia, non basta. Ciò che è interessante
sottolineare, del Conte Gorani, è il suo carattere avventuriero e avventuroso,
sempre pronto a imbarcarsi in nuove situazioni, come racconta lui stesso nell’opera
autobiografica Mémoires secrets et critiques des cours, des gouvernemens et des
moeurs des principaux états d’Italie, pubblicata nel 1793 e consultabile online.
Tra le tante voci e leggende trapelate sul suo conto,
si dice che il Conte Gorani fosse un noto alchimista, come Cagliostro, e che,
grazie alle conoscenze ereditate dal padre, avesse addirittura il potere di
mutare i metalli in oro. Cambiò nome (e forse anche aspetto) più volte e,
sebbene tutti lo credessero morto a Ginevra nel 1819, continuò a girare per
l’Europa. Un dato, quest’ultimo, che trova conferma in “Le due lune” di
Luca Tarenzi. Qua, il Conte Gorani, incontrato per la prima volta da Veronica
nell’Ossario di San Bernardino, è un uomo a cui è difficile dare un’età. Ha “capelli
scuri, semilunghi, tirati indietro a scoprire la fronte ampia, con una traccia
di grigio sulle tempie; un volto magro, aquilino, con il mento lungo e il naso
affilato, ma labbra grandi che sembravano quasi fuori posto su un viso come
quello. Occhi di un verde intenso, grandi, potentemente espressivi”.
Indossa un soprabito nero e porta “un anello d’oro lavorato a formare
una testa di ariete”, un oggetto antico, quasi magnetico. È avvolto da
un’aura particolare, simile a un’ondeggiante ombra di fumo, percorsa da
scintille, tutto ciò che resta della sua vita mortale.
Il Conte è un uomo enigmatico, molto colto, dotato di
profonda (e anche oscura) conoscenza su vari campi del sapere umano, dalla
storia delle culture e delle religioni del mondo a quella che potremmo definire
magia. È stato un diplomatico, di facciata, ma una spia in realtà, l’antenato
degli agenti segreti, sfruttando la sua giovinezza e l’ingegno per avere
accesso agli uomini e alle donne più potenti del mondo. Fece parte della
Massoneria ma poi approdò a segreti più antichi, più occulti, venendo iniziato ai
misteri. Fece diffondere la voce della sua morte e continuò a vivere, compiendo
il sacrificio più estremo. Svegliò il Drago, genius loci di
Milano, e in cambio del tempo che desiderava gli offrì il suo ultimo istante di
vita, divenendo il Senza Morte. In questo modo può sentire le voci dei morti,
continuando a vivere nel suo ultimo istante di vita, prolungato all’infinito.
“Sono stato un soldato, una spia, un idealista, un rivoluzionario, un mago. Oggi sono solo un uomo che vuole continuare a vivere, come ogni altro uomo al mondo”.
E per farlo il Conte è disposto a tutto, al punto da
essere temuto persino dai demoni. Anche Azazel, in “Quando il diavolo ti
accarezza”, dichiara di non fidarsi di lui poiché “tenterebbe di
ribaltare la situazione a suo vantaggio”.
Un altro nobile ancora in giro nella Milano di oggi è
il marchese Acerbi, anch’esso mal visto da Azazel, che sa che
“chiederebbe qualcosa in cambio, qualcosa di subdolo, infido e solo in
apparenza innocente”. In attesa di vederlo comparire in qualche romanzo di
Luca Tarenzi, qua un articolo per chi volesse indagare
sul “Diavolo di Porta Romana”.
La terza nobildonna nota nella città del Drago è
la Contessa Arese, che ospita Edwin nella sua torre in “Godbreaker”.
Lei è una Dama Bianca, ossia l’anima di un morto col potere di una divinità
minore. Il suo nome, un tempo, era Antonietta Fagnani Arese, una nobildonna del
Diciannovesimo secolo, famosa per la sua cultura e per i suoi mille amanti,
tanto che alla fine se la portò via la sifilide. Ma, a sentire Liathan, non “doveva
avere tanta voglia di morire” ed è rimasta a infestare la Terra. “La
fama è sopravvissuta alla sua morte, le apparizioni del suo spettro l’hanno
alimentata e la fama ha alimentato lo spettro stesso”.
Vive in solitudine in una torre antica, in un angolo
del parco del Castello Sforzesco, vicino all’Arco della Pace, circondata dalla
nebbia che la protegge e la rende invisibile agli occhi degli umani. Il suo
corpo è composto di nebbia, di cui si serve per comporre la propria figura. Il
suo guardaroba è piuttosto ridotto e indossa quasi sempre un abito candido, a
gonna ampia, e con un’ancor più ampia scollatura, con in testa un cappello con
il velo. Non ama farsi vedere in faccia. Ha sensi molto acuti con cui riesce a
percepire i movimenti di coloro che si avvicinano alla Torre. Appartiene,
assieme ad altri quattro membri, alla Corte del Drago di Milano ed è molto
attaccata alle tradizioni e pronta a condannare chi le violenta.
Di certo ci sono altri nobiluomini in città ma tendono
a non farsi vedere, rimanendo nell’ombra, o nella nebbia, a osservare e
preparare i loro piani. Sempre nell’ombra vivono i Sotterranei,
il Popolo delle Profondità, entità difficili da definire
fisicamente, quasi delle sagome di pura ombra. Si muovono, di rado, in
superficie, senza mai essere visti dai mortali, tranne chi, come Veronica Meis,
li vede con la coda dell’occhio. Vengono “dall’altra sponda di quell’oceano
inquieto e mutevole che i mortali chiamano sogni e non portano mai niente di
buono nel mondo. Semmai, portano via. Anche persone, a volte”. Azazel, che
ormai è un umano, non ha molta simpatia per loro e cerca di tenersene alla
larga, sebbene in certe strade oscure del Mercato Vecchio sia possibile
incontrarli.
Ci sono però anche personaggi positivi e istronici a
Milano, come il buon Settala, apparso in “Quando il diavolo
abbaia”. Chi è Settala? “Tante cose. Un meccanico, un alchimista, un
tuttofare, un collezionista, tra le altre”. Noto anche ai demoni, vive
tranquillo la sua esistenza in un garage, senza dar noia a nessuno e senza
intromettersi nelle varie contese sovrannaturali che, di tanto in tanto,
devastano la città. Fisicamente è un uomo basso, con un “viso bizzarro,
rotondo senza essere paffuto e largo quasi quanto era alto, con una fronte
vasta e bombata, occhi enormi e bocca minuscola, da pesce, contornata da due
baffetti e un ciuffo di barba. Completava il quadro una gran massa di capelli
brizzolati, lunghi sui lati ma tagliati sotto la nuca in una pettinatura d’altri
tempi che li faceva somigliare a una parrucca”. Indossa, di solito, una
tuta blu da meccanico, muovendosi con una camminata a scatti che irradia
energia nervosa a ogni passo. È beneducato, cortese con le donne, generoso, non
esita a condividere il proprio cibo con gli ospiti.
Vive in una casa vicino a Porta Vigentina, con
un’officina integrata, dove svolge i suoi lavori. Un’officina parecchio
incasinata e ricolma di oggetti e utensili di ogni tipo, con cui ripara non
soltanto macchine, anche esseri umani e demoni all’occorrenza. Possiede una
collezione molto vasta di parti di animali, che la gente definisce wunderkammer,
ma che per lui è un museo, “la più grande raccolta dell’estremo”che
Milano abbia mai visto. La sua figura è ispirata a Manfredo Settala,
canonico di San Nazzaro in Brolo, vissuto nel Diciassettesimo Secolo, e figlio
di Ludovico, da cui ha ereditato il senso del magnifico e del grottesco e
l’interesse scientifico. È noto, appunto, per la sua Camera delle
Meraviglie, una collezione di oggetti scientifici di ogni tipo,
catalogabili in tre grandi sezioni: i Naturalia, cioè oggetti forniti all’uomo
direttamente dalla natura, e suddivisibili a loro volta in animali, vegetali,
minerali; gli Artificialia, cioè le creazioni dell’uomo, che grazie alla sua
perizia modifica i naturalia secondo le proprie esigenze o estro; i Curiosa,
cioè tutto ciò che può incuriosire o stupire in quanto monstra, cioè extra
norma. Il Museo Settala poteva, secondo alcuni studiosi e per certi versi,
inserirsi in quel filone collezionistico che andava all’epoca di Manfredo sotto
il nome di Wunderkammer, o camera delle meraviglie, collezioni
diffusesi soprattutto nel centro Europa a partire dal tardo Cinquecento.
Oltre ai nobili, ai Sotterranei e a personaggi
stravaganti come Settala, Milano è popolata da altre creature, di per sé non
tipiche della città ma che a Milano assumono caratteristiche particolari, come
i licantropi (lo sa bene chi ha letto il Giornale circostanziato
di quanto ha fatto la bestia feroce nell’Alto Milanese dai primi di Luglio
dell’anno 1792 o, in mancanza di quello, la rubrica “Alla luce della luna”),
oppure le Strigi e la Dea (in Angelize,
di Aislinn) che si annidano nel Cimitero Monumentale, o infine gli angeli (di
solito avvistabili sulle cime dei grattacieli) e i demoni (stanno un po’
ovunque, attenzione!).
Stemma del Ducato di Milano dalla sua costituzione il 5 settembre 1395 (incoronazione a Duca di Gian Galezzo Visconti), mantenuta anche dagli Sforza.
Perché tutte queste creature sovrannaturali si
rifugiano a Milano? Beh, la città, come vedremo meglio in un successivo
articolo, offre interessanti argomenti di protezione per queste entità
leggendarie, che vi sono attratte, quasi fosse un faro. Era un medhelan,
all’inizio, un santuario celtico, dedicato agli Dei dei Boschi e alle forze
selvagge e primigenie della natura. “Su questo medhelan, si incrociavano
forze antiche, che percorrevano la terra come linee di energia, la Spina
Dorsale del Drago, e proprio nel punto in cui sorse Milano quelle correnti si
incontravano e il Drago rendeva manifesta la sua presenza. Una presenza
terribile, un potere primordiale che doveva essere compreso e pacificato, se i
mortali volevano vivere alla sua ombra. Doveva essere trasformato in un
guardiano, in un protettore. In un genius loci”. Per farlo, fu necessario
sottometterlo, domarlo, con i riti e i sacrifici. In questo modo il Drago
divenne il simbolo di Milano.
Nello stemma dei Visconti (che regnarono a Milano per
secoli) infatti si vede un serpente che divora un essere umano. Racconta il
Conte Gorani, che di storia e misteri se ne intende, che “le paludi che si
stendevano oltre le mura della città, nell’Alto Medioevo, fossero infestate da
un drago. La sua semplice presenza avvelenava l’ambiente, come lo sguardo di un
basilisco: le acque, la terra, l’aria stessa. La sua tana era nascosta in
prossimità delle muram e la gente non poteva più tollerare la sua vicinanza:
presto sarebbero tutti morti avvelenati, o fuggiti. Fu dunque Umberto Visconti,
il fondatore della sua casata, a improvvisarsi uccisore di draghi e a muovere
contro il mostro, armato come da tradizione soltanto della sua spada e della
sua fede. (…) Uccise il drago. E mise la sua immagine nel proprio stemma, altra
vecchia abitudine degli eroi.”
Attenzione però. Il Drago non è
morto, riposa, calmo e silente, sotto il suolo di Milano, grande come una
città, un genius loci che lo stesso Liathan definisce “semplicemente
inaffrontabile“. Inoltre, più che vederlo, il Drago si sente, si
percepisce, “come un fiume nero di scaglie“, dall’alito soffocante,
intriso di palude e di morte. Il Drago è forte, potente, stringe i nemici nelle
sue spire, invade i pensieri e la mente dei nemici, avvelenandole, o, molto più
semplicemente, li sbrana con le sue fauci. Un consiglio? Se passate da Milano,
non fate arrabbiare la Corte del Drago!
Libri di riferimento:
Le due lune, Luca Tarenzi, Alacran Edizioni, 2009.
Quando il diavolo ti accarezza, Luca Tarenzi, Salani Editore, 2011.
Godbreaker, Luca Tarenzi, Salani Edizioni, 2013.
Le due lune, Luca Tarenzi, Alacran Edizioni, 2009.
Quando il diavolo ti accarezza, Luca Tarenzi, Salani Editore, 2011.
Godbreaker, Luca Tarenzi, Salani Edizioni, 2013.
Molto, molto interessante, vado pazzo per le leggende urbane e il folklore locale. Grazie!
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