Recensione "Gli eredi di Atlantide" di Camerini e Gualchierotti
Il romanzo “Gli eredi di Atlantide”
di Camerini e Gualchierotti, per Edizioni Il Ciliegio, narra, come è intuibile,
del Cataclisma che si abbatte su Atlantide, la gloriosa città dei Cinque
Anelli, e della fuga di un gruppo di sopravvissuti, guidati dal valoroso Adhon,
alla ricerca di una nuova terra dove rifondare la civiltà di Atlantide,
distrutta dal crollo della stella Ninmah. In quella che si configura una vera e
propria odissea, Adhon e i suoi dovranno affrontare numerosi pericoli,
incalzati da un nemico che non sanno di avere, incontreranno popoli e culture
diverse, sempre cercando di tenere a mente gli insegnamenti del saggio
Alkmeones. Si tratta di un gran romanzo corale, scritto a quattro mani, dal
respiro decisamente epico.
“Questi sono tempi in cui gli stessi uomini consacrati agli Dei dimenticano di osservarne i segni: i sacerdoti sono stati sostituiti dagli eunuchi, e trascurano i loro doveri per stringere nelle mani inanellate calici dorati o corpi di giovani schiavi. Il culto è diventata una pantomima di incensi e falsi oracoli. Troppo spazio è stato dato agli dei stranieri e oggi il popolo preferisce riti misteriosi e incomprensibili alla pura fede dei padri.”
Il romanzo inizia con un grande prologo, in cui gli
autori narrano la caduta di Atlantide, la fine di un mito e di una civiltà
intera, spazzata via dalla cecità dei suoi governanti, troppo presi dai fasti e
dal lusso che non dal prestare ascolto ai segni del cielo. Seguono una ventina
di capitoli, piuttosto consistenti, che narrano il girovagare di Adhon e dei
suoi a bordo della Dysmacos, alla ricerca di una nuova terra, fino al
(decisamente breve) epilogo, che lascia presupporre nuove avventure. Per quanto
un seguito sia possibile, il romanzo è comunque concluso e tutte le varie
sottotrame trovano risoluzione alla fine.
Il romanzo è, quindi, un grande viaggio, come nella
più antica tradizione omerica, a cui si accompagnano la scoperta di nuovi mondi
e un progressivo apprendimento da parte di Adhon e dei suoi. Viaggio nello
spazio, quindi, ma anche nell’animo dei personaggi, che hanno modo di crescere,
imparare e evolvere. Su tutto aleggia la fede in Poseidone, signore dei mari e
protettore di Atlantide, e la speranza che abbia un futuro in serbo per tutti
loro.
“Penso che il nostro viaggio non sia stato solo un’avventura mirata alla protezione dell’Occhio, ma anche una prova, come una cerimonia d’iniziazione tesa a fare accrescere la nostra intelligenza e sapienza. […] Alkmeones diceva che siamo come uomini chiusi in una stanza, che vedono solo luci, forme, colori e oggetti all’interno di quell’ambiente, mentre fuori c’è un mondo che loro ignorano. In questi mesi, anche se un poco, noi abbiamo imparato a conoscerlo, e forse siamo cresciuti”.
Lo stile del romanzo è molto epico, il vocabolario
curato, le frasi lunghe, spesso pompose, infarcite di aggettivi descrittivi e
di termini atti a enfatizzare. È uno stile che ho trovato adatto all’atmosfera
generale del romanzo, allo spirito quasi mitologico che lo permea, con i
continui riferimenti agli Dei, al fato che tutto comanda, alla missione
salvifica del popolo di Atlantide. Certo, gli amanti dei periodi brevi e dello
stile asciutto, alla Hemingway, storceranno il naso, ma credo che ogni storia
abbia bisogno della sua voce per essere raccontata, e Camerini e Gualcheriotti hanno
fatto un’ottima scelta, anche se, per gusto personale, a volte qualche periodo
o monologo li avrei sfoltiti un po’.
“La consapevolezza che la fine imminente del loro viaggio segnava anche la fine definitiva di tutto ciò che restava di Atlantide. Avrebbero vissuto lì, in quelle terre fertili ma selvagge, pochi superstiti di un impero maestoso, fino alla definitiva estinzione del loro sangue? E suo figlio, cosa avrebbe avuto in quella landa desolata? Possibile che gli dei avessero deciso che la gloria di Atlantide terminasse così, senza lasciare neppure un ricordo della sua fama, come sabbia che scorre tra le dita?”
“Gli eredi
di Atlantide” è un romanzo
epico, ad ampio respiro, che segue non soltanto le avventure di Adhon e dei
suoi compagni, ma anche dell’intero popolo di Atlantide, segnando il destino di
una civiltà intera. È una storia di decadenza, sicuramente, perché i regnanti
della città dei Cinque Anelli si sono dimostrati miopi, e forse anche tronfi,
certi di essere i migliori e i prediletti dagli Dei, salvo ritrovarsi di fronte
a un’amara verità. Di questa decadenza, sono Adhon e i suoi a farne le spese. È
però anche una storia di rinascita, di risalita, di salvezza, che avviene
tramite il viaggio, un tema classico, tipico di molti romanzi, che permette ai
protagonisti di vivere una serie di esperienze, fare incontri, aprire la mente,
atti a migliorare se stessi. Adhon, un po’ come Holden Caufield, lascia la sua
casa, alla ricerca della sua strada e del suo posto nel mondo, e se Holden
torna a casa, Adhon e il suo popolo ne troveranno una nuova, riscoprendo le
loro vere e pure origini che i fasti atlantidei avevano oscurato.
“Gli eredi
di Atlantide” è una storia
d’avventura, come l’Odissea, con nuove terre da scoprire, nuovi popoli e città,
nuovi costumi (anche diversi da quelli di Atlantide), è una storia di
difficoltà, di conflitti, di incomprensioni e vendette; una trama ricca di
avvenimenti, anche se forse, proprio per l’impostazione molto classica del
romanzo, è abbastanza scontata in sé, complice anche il famoso destino che pare
segnare la rotta di Adhon e dei suoi. Ben costruiti i personaggi, soprattutto i
tre principali (Adhon, Tig-her e Sybillion), per quanto riconducibili a figure
standard del fantasy avventuroso. Ho apprezzato molto Tig-her, il suo rizzare
sempre la testa, il suo continuare ad andare avanti nonostante le ferite e le
difficoltà, così pure le battute di Sybillion, che a volte hanno smorzato la
tensione. Bianchi o neri i personaggi, buoni o cattivi, forse questo l’unico
aspetto che non ho molto apprezzato, preferendo, per gusto personale, dei
personaggi alla George Martin, con le loro molteplici sfumature. Ma più che
parlare di difetto, credo sia una scelta legata al tipo di storia epica narrata
dagli autori, dove i buoni sono oggettivamente dei valorosi eroi (simbolo forse
di un tempo perduto) e i cattivi sono esseri rancorosi e spregevoli. Questo non
toglie comunque valore a una bella epopea che appassionerà soprattutto gli
amanti della narrativa avventurosa e eroica, pronti a navigare con la Dysmacos
nelle pericolose acque del futuro.
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