lunedì 30 aprile 2018

Segnalazione "I Figli di Cardea" di Alessio Del Debbio

Segnalazione "I Figli di Cardea" di Alessio Del Debbio


Ormai ci siamo, mancano pochi giorni! Al Salone del Libro di Torino (dal 10 al 14 maggio) potrete trovare, sfogliare e acquistare (anche con dedica!) "I Figli di Cardea", secondo volume della trilogia "Ulfhednar War" (edito da Il Ciliegio Edizioni). Lo troverete al mega stand Dark Zone - Nati per scrivere - Bakemono, in cui sarò presente per tutti e cinque i giorni con i miei libri e con quelli della mia associazione Nati per scrivere, appunto. Scopriamo il libro!


Titolo: I FIGLI DI CARDEA
Saga: ULFHEDNAR WAR
Autore: Alessio Del Debbio
Editore: Edizioni Il Ciliegio
Genere: fantasy contemporaneo
Formato: cartaceo e digitale
Pagine: 416
Prezzo: 19,50 euro (cartaceo)
ISBN: 978-88-6771-544-2
Uscita ufficiale al Salone del Libro di Torino (maggio 2018).
Disponibile su tutti gli store di libri (IBS, La Feltrinelli)

Trama:
Dopo lo scontro alla Grande Quercia, gli ulfhednar del Vello d’Argento sono senza un Alfa e temono attacchi da parte dei Figli di Cardea. Daniel cerca di addestrare i nuovi membri del branco, la Dottoressa è tormentata dai fantasmi del suo passato, Dominic, infine, medita vendetta, incolpando Ascanio e Daniel della morte di sua madre.
Quando un nuovo branco invade l’Appennino, i Figli di Cardea decidono di sferrare l’attacco finale, per cancellare lupi e stregoni dalla penisola. Nel frattempo, Ascanio è scomparso…

I Figli di Cardea è il secondo capitolo della trilogia Ulfhednar War, iniziata con La guerra dei lupi.
Daniel non seppe rispondergli.
A parole, del resto, non era mai stato bravo.
Era un lupo e tra i lupi bastavano i gesti.

Ambientato in Toscana, tra Viareggio e le montagne della Garfagnana, il libro mescola mitologia nordica e celtica a storia e leggende toscane, alternando, con ritmo incalzante e colpi di scena, capitoli nel presente e altri nel passato.
***


Cosa aspettarsi quindi da questo secondo volume? Amore, amicizia, voglia di libertà saranno come sempre i temi fondanti. Ritroveremo vecchi amici (e nemici) e conosceremo nuovi personaggi, soltanto accennati nel primo volume. Espanderemo anche le ambientazioni, spostandoci tra Versilia, Lucchesia e Garfagnana, ma raggiungendo anche il Monte Labaro in Maremma, il Monte Cimone (sull'Appennino), perfino la Majella. Ci sarà spazio per battaglie urbane (qualcuno ha avvistato lupi e fiamme sulle mura di Lucca!) e viaggi tra i mondi, e ovviamente per giocare con la storia!

La copertina è stata realizzata, anche questa volta, da Iacopo Donati e mostra Daniel, Cardea e un negromante pericoloso, antagonista dei nostri eroi in questo volume! ;)

Vi aspetto quindi allo stand Dark Zone-Nati per scrivere-Bakemono (padiglione 2).

martedì 24 aprile 2018

Recensione "Gli spiriti selvaggi" di Andrea De Angelis

Recensione "Gli spiriti selvaggi" di Andrea De Angelis


Bentrovati, viaggiatori! Pronti per una nuova avventura? Oggi vi porto nelle terre di Asha, popolate da uomini e draghi! Sì, proprio così. Andrea De Angelis, giovane autore della scuderia Dark Zone, ha scritto un libro intero (anzi, una saga!) con protagonisti i draghi: "Gli spiriti selvaggi"! Per cui, se siete amanti di queste meravigliose creature, non potete perdervela, anche perché non è facile trovare libri dove giochino un ruolo da protagonista; di solito sono ridotti a comparse, a mere cavalcature o a creature che ogni tanto appaiono e sputano fuoco. No, nel romanzo di Andrea De Angelis i draghi fanno da padrone, sono i veri padroni del mondo in cui si muovono gli altri personaggi.

La trama in breve, senza anticipare nulla. Un cacciatore di draghi di nome Mohegan, insieme a inaspettati compagni di viaggio, dovrà affrontare una lunga ricerca e una disperata corsa contro il tempo per capire chi trama nell'ombra e quali sono i pericoli che incombono sulle Terre di Asha. Lo attenderà un viaggio attraverso terre selvagge e lussureggianti, territori di caccia di draghi e mostri, seguendo le tracce di una leggenda antica come il tempo. Un cammino costellato di sfide, oscuri segreti e antiche verità.

Come avrete intuito, la trama si sviluppa sulla più classica delle quest, ovvero una ricerca. Di cosa? Di antiche, pericolosissime reliquie, dotate di grandi poteri. Impegnati in questa ricerca sono un cacciatore di draghi, una ladra e un vecchio Ancestro, a cui poi si uniranno altri soggetti. Parlando di personaggi, devo dire che il mio preferito è stato l'antagonista, Ragos. Perché? Perché ha stile, e poi un super stregone che cavalca un Drago Nero potentissimo è troppo figo! Ho apprezzato molto questo personaggio, deciso a tutto, determinato a raggiungere il suo obiettivo, senza perdersi in chiacchiere. Mohegan, invece, non mi è stato troppo simpatico, forse perché fa il cacciatore di draghi?! Poveri draghi! ^_^

Punto di forza del libro è sicuramente l'enorme attenzione, sostenuta da un grande studio e da un'elaborata fase di ricerca e documentazione, dedicata alla creazione del mondo, roba da far invidia a Tolkien! La ricostruzione storica e cosmogonica delle terre di Asha è davvero accurata, con tanto di manuali, cronache e manoscritti sulle origini del mondo, sui primi Cavalieri di Asha e i draghi originali. Abbondano le descrizioni, le storie e la Storia del mondo, che contribuiscono a creare un'ambientazione forte, potente, vivida, e non un piatto sfondo. 



Infine, i draghi, dicevamo. Sì, i draghi sono creature fantastiche e, al pari degli umani, possono essere buoni e cattivi, possono compiere le loro scelte. Ci sono tanti tipi di draghi, che l'autore presenta man mano nel corso del romanzo, descrivendone caratteristiche e peculiarità con attenzione. In particolare, ai fini della trama, sono importanti gli elementraghi e i sendraghi, ossia i draghi senzienti. Per cui, se vi imbattete in un lucertolone volante, attenzione! Osservate bene, le ali, le squame, la forma del corpo, per riconoscerlo e chiamarlo col giusto nome! ;)
«Non sono un assassino!» ribatté lo Spirito Selvaggio. «Non caccerei mai sendraghi! Io faccio il mio dovere, cercando di salvare vite! Non so cosa tu voglia da me, ma voi draghi non siete tutti uguali. Alcuni di voi sono nobili nell’animo e meritano di vivere, altri sono selvaggi come bestie e cercano solo morte e distruzione! La loro vita non ha alcun valore.» 
«Davvero? Verrebbe da dire che voi umani non siate poi così diversi. Non credi?»  
Mohegan rimase sorpreso dal peso di quelle parole. Aprì la bocca, ma non riuscì a trovare nulla da dire per rispondere al drago. 
«Siete differenti l’uno dall’altro. Alcuni di voi sono generosi e altri malvagi e corrotti. Tu chi credi di essere? Credi di meritare di vivere?» 
Il romanzo è, infine, corredato di mappe (molto belle e dettagliate, realizzate a mano dall'autore) e appendici, che parlano delle origini del mondo, del Grande Scisma e delle varie razze di bipedi e di draghi che popolano il romanzo. 

Se volete scoprire di più sulle terre di Asha, potete visitare la pagina FB del progetto e il canale youtube, che contiene video, retroscena e addirittura la colonna sonora realizzata da Andrea De Angelis!




lunedì 23 aprile 2018

Flash-mob cover reveal "Né a Dio né al diavolo" di Aislinn

Flash-mob cover reveal "Né a Dio né al diavolo" di Aislinn

Ciao a tutti, amici dei mondi fantastici! Oggi il blog "i mondi fantastici" partecipa a una bella iniziativa: il flash-mob virtuale per il "cover reveal" del nuovo libro di Aislinn. Ossia il lancio della copertina (e della quarta) di "Né a Dio né al diavolo", urban fantasy in uscita per Gainsworth Edizioni al Salone del Libro di Torino a maggio. Pronti per scoprirlo?


Biveno. “Capitale del nulla”. Sessantamila anime dimenticate da Dio ai piedi delle Alpi piemontesi. Da lì un giorno d’estate del 2010 parte una macchina diretta a un colossale festival metal in Germania, con a bordo il terzetto peggio assortito della storia: Ivan, senza lavoro ma con qualche segreto, depresso con l’orlo del baratro a portata di mano; Tom, idraulico per professione e giullare per vocazione, troppo abituato a fingere di essere un idiota; e il tizio silenzioso che tutti chiamano Lucifero, capelli lunghi e occhiali scuri d’ordinanza, vampiro da quasi quattrocento anni. E non serve a nulla che lui parli tranquillamente della sua vera natura, tanto nessuno ci crede, Tom meno di chiunque altro. 

Dovranno cominciare a balenare gli artigli e a scorrere il sangue perché i due ragazzi si rendano conto che frequentare un mostro non è innocuo come una canzone black metal. Men che meno un mostro che si trascina dietro amanti immortali, vendette secolari e una sete che nulla al mondo può spegnere. Ma le notti sono lunghe a Biveno, e c’è tempo per imparare...


“Il sangue gli riempiva la gola. Inzuppava la paglia. Lui tremò, tremò più forte. Scivolò su un fianco. Il respiro era più faticoso. Un'ombra gelida sommerse la cella, lo strinse in un'ultima morsa. Era un buio aggressivo, eppure quasi rassicurante.  
Tutto scorreva via. Anche le parole si perdevano, e se pure avesse avuto ancora voce, le parole che gli rimanevano non le avrebbe rivolte né a Dio, né al diavolo.  
 La promessa che aveva infranto non l'aveva fatta nel loro nome.”

Biografia
Aislinn è nata a Biella nel 1982, ama scrivere ascoltando rock e metal e ha una passione inesauribile per la lettura. Nel 2013 ha pubblicato con Fabbri Editori il suo primo romanzo urban fantasy Angelize (recensito qui sul blog!); nel 2014 è uscita la seconda e ultima parte della storia, Angelize II – Lucifer. Ha partecipato al romanzo storico In territorio nemico di Scrittura Industriale Collettiva (minimum fax, 2013) e a diverse antologie. 


Vive ad Arona, ma potreste incontrarla spesso anche a Milano; tiene corsi e workshop di scrittura, è traduttrice, editor e consulente editoriale per vari studi, agenzie e case editrici. Gestisce il blog http://aislinndreams.blogspot.it e pagine sui principali social network. Quando non è impegnata con tutte queste cose, si aggira per i boschi cercando divinità, canta per la gioia dei vicini di casa e fa da schiava a due gatti.

sabato 21 aprile 2018

Segnalazione "Ultimo trip di un Don Giovanni perbene" di Reda Wahbi


Segnalazione "Ultimo trip di un Don Giovanni perbene" di Reda Wahbi

Bentrovati, viaggiatori di mondi fantastici! Oggi vi (ri)porto al Zeitgeist Hotel! Ricordate? L'anno scorso vi avevo presentato il progetto "Zeitgeist hotel" (qua), che adesso si arricchisce di una nuova storia horror: "Ultimo trip di un Don Giovanni perbene". Pronti per scoprirlo?

Autore: Reda Wahbi
Titolo: Zeitgeist Hotel, Ciclo Uno: Ultimo trip di un Don Giovanni perbene
Casa Editrice: Autopubblicato
Genere: Horror/Drammatico/Fantastico
Prezzo: Free
Pagine: 267

Trama:
Willhelm Strauss è stato uno dei più grandi attori dei nostri tempi, ma adesso la sua stella è sbiadita ed è conosciuto dalle nuove generazioni come il membro più anziano dei «Figli di Fathima», nonché il suo simbolo.
A pochi giorni da «L’Avvento del Mondo Nuovo», il suo mondo fatto di set, festini, donne ed eccessi comincia a crollargli addosso, ma nei pochi giorni rimasti prima dell’arrivo di una «Nuova Luce», ha ancora tempo per un ‘’ultimo trip’’ per recuperare i cocci del passato e, con loro, le tracce della figlia scomparsa.

Il libro è scaricabile gratuitamente dal sito hotelzeitgeist.wordpress.com in formato PDF e ePub.
Dal blog è possibile scaricare anche le altre storie di Zeitgeist Hotel.

venerdì 20 aprile 2018

Recensione "Tra cielo e terra" di Davide Camparsi

Recensione "Tra cielo e terra" di Davide Camparsi

Bentrovati, viaggiatori di mondi fantastici! Oggi vi porto a spasso nei mondi creati da Davide Camparsi nei suoi racconti, riuniti nel volume "Tra cielo e terra". Il libro, curato dall'associazione Rill, Riflessi di Luce Lunare, appartiene alla collana Memorie del futuro, che accoglie autori che hanno ottenuto ottime posizioni al trofeo Rill.

"Tra cielo e terra" comprende dieci racconti fantastici, nel senso più ampio del termine. Si spazia infatti tra fantascienza, viaggi onirici, rielaborazioni di fiabe, qualche punta di horror e atmosfere comunque in cui il fantastico, il meraviglioso, regna sovrano. E' stata una lettura piacevole, come tutte quelle precedenti della stessa collana, sostenuta da uno stile semplice, lineare, ben curato, che a volte tende a spaziare al di là del reale, regalandoci momenti visionari, oltre il confine del sogno.

Essendo un'antologia, atmosfere e situazioni dei singoli racconti sono piuttosto varie e, come è logico che accada, ci sono racconti che mi hanno fatto impazzire e ho trovato bellissimi, e altri che mi hanno convinto meno. Per gusto personale, infatti, ho apprezzato i racconti più nudi e crudi, quelli dove la trama ha un'importanza massiccia, a discapito di quelli più onirici o visionari, che di solito non mi coinvolgono particolarmente. Parlerò di quelli che ho apprezzato.

Il volume inizia con un racconto fantastico: "L'uomo che apriva porte su altrove", dove per fantastico intendo che è una gran figata! Sono contento sia stato messo in apertura, sia perché è uno dei migliori, costruito in un crescendo di curiosità e tensione davvero notevole, sia perché, se vogliamo così interpretarlo, è la nostra porta,  il varco che ci fa entrare nell'universo creato da Davide Camparsi. Mi è piaciuto un sacco, sia nell'idea (ossia queste porte per raggiungere i tanti mondi celati attorno a noi), sia nella costruzione della storia fino al finale.

"Quando gli animali parlavano" è un bel racconto, intenso e a tratti persino commovente. All'inizio mi aspettavo qualcosa alla Orwell, invece prende una strada diversa, finendo per parlare di libertà di essere, della dignità che ogni essere umano ha di esistere. 

"Non di solo pane" è un racconto davvero spiazzante e originale. Parte da una considerazione molto semplice: cosa accadrebbe se un bel giorno Dio si presentasse sulla Terra? Non vi svelo ciò che accade, devo dire però che ho apprezzato il contrasto tra luce e ombra, tra la luce che Dio potrebbe apportare nell'animo di molti e l'ombra che invece rimane nel cuore di qualcuno. Lo trovo molto in linea con l'animo umano: forgive, but not forget.

"I loro modi" è uno dei racconti che mi piace scrivere, con queste atmosfere di tensione che poi sfociano nell'horror. Breve, ma intenso. Ugualmente ho adorato l'atmosfera sanguigna di "Rosso", un racconto ispirato alla fiaba di Cappuccetto Rosso, ma raccontato direttamente dal lupo. Adorando i lupi, non potevo che apprezzare questa storia, in particolare mi è apparsa una storia a cinque sensi, che coinvolge non solo la vista, ma anche tutti gli altri. Con i termini giusti, l'autore ci porta direttamente nella mente del lupo, anzi sembra quasi di essere noi questa creatura affamata, sanguigna, predatrice, ci sembra di respirare gli aromi del bosco e del sangue, di fiutare la preda, di tendere le orecchie al pericolo. Insomma, un racconto davvero appassionante. Piccola nota: alcune scene sono molto cruente, per cui sconsiglio la lettura ai troppo giovani o facilmente impressionabili.

"La pecora perduta" è un racconto di fantascienza. Originalissima la trovata del pastore di locuste, questo poveraccio vessato dalla ditta per cui lavora. Niente di originale anche nel futuro, direte voi? Sì, le abitudini alimentari dell'uomo cambiano, ma non la sua tendenza a voler comandare tutto e tutti. Per fortuna però che c'è anche chi conserva un po' di libero arbitrio e decide di reagire ai soprusi. Sono stato decisamente contento dal finale.

"Ramo dopo ramo" e "E' tutto così fragile" sono due racconti più lievi, con protagonisti dei ragazzi. Rispetto alle atmosfere di "Rosso" o "I loro modi", queste sono storie più delicate, quasi avvolte in una certa malinconia di fondo, quasi fossero fuori dal tempo e in tutti i tempi. Riemerge il senso di caducità che permea molti racconti dell'antologia, questo inesorabile perdersi che forse è connaturato all'esistenza stessa del genere umano. 

Nel complesso, quindi, una bella antologia per chi ama i racconti brevi, ma anche per chi è curioso e non vuol leggere sempre i soliti libri commerciali. Una bella occasione per scoprire i talenti italiani.

Ricordo gli articoli sui volumi precedenti di "Memorie dal futuro":
- Oscure regioni 1, di Luigi Musolino (qui)
- Oscure regioni 2, di Luigi Musolino (qui)
- La spada, il cuore, lo zaffiro, di Antonella Mecenero (qui)




mercoledì 18 aprile 2018

Leggende urbane: storie e leggende milanesi


Leggende urbane: storie e leggende milanesi

Passeggiare per una grande città, come Milano, significa imbattersi, a ogni angolo, in un pezzo di storia e cultura, ma anche, se si guarda oltre la foschia in cui è immersa la vita dei mortali, in pezzi di leggende che, nonostante il trascorrere degli anni, sono ancora reali. Vivide. In mezzo a noi. Non a tutti è consentito vedere quel che si cela nell’ombra, solo a chi ha “occhi antichi, abituati a guardare”. Agli altri le cose scivoleranno via, nella coda dell’occhio.
“Sotto l’asfalto e il cemento di Milano, sotto la nebbia e lo smog e il frastuono del traffico si muovono forze invisibili, antichissime e molto, molto potenti.”
Se passate vicino a Corso Magenta, e infilate in Via Gorani, potete vedere i resti del palazzo ove dimorava l’omonima famiglia che, tra i tanti membri, ha avuto un illustre e singolare rappresentante, il conte Giuseppe Gorani. Nato a Milano nel 1740, è stato molte cose in vita: uno scrittore, un diplomatico, un avventuriero, spesso al servizio di questo o di quel governo. Di lui, il Dizionario Biografico degli Italiani fornisce un’attenta biografia storica, ma a noi, che interessa andare oltre la storia, non basta. Ciò che è interessante sottolineare, del Conte Gorani, è il suo carattere avventuriero e avventuroso, sempre pronto a imbarcarsi in nuove situazioni, come racconta lui stesso nell’opera autobiografica Mémoires secrets et critiques des cours, des gouvernemens et des moeurs des principaux états d’Italie, pubblicata nel 1793 e consultabile online.

Tra le tante voci e leggende trapelate sul suo conto, si dice che il Conte Gorani fosse un noto alchimista, come Cagliostro, e che, grazie alle conoscenze ereditate dal padre, avesse addirittura il potere di mutare i metalli in oro. Cambiò nome (e forse anche aspetto) più volte e, sebbene tutti lo credessero morto a Ginevra nel 1819, continuò a girare per l’Europa. Un dato, quest’ultimo, che trova conferma in “Le due lune” di Luca Tarenzi. Qua, il Conte Gorani, incontrato per la prima volta da Veronica nell’Ossario di San Bernardino, è un uomo a cui è difficile dare un’età. Ha “capelli scuri, semilunghi, tirati indietro a scoprire la fronte ampia, con una traccia di grigio sulle tempie; un volto magro, aquilino, con il mento lungo e il naso affilato, ma labbra grandi che sembravano quasi fuori posto su un viso come quello. Occhi di un verde intenso, grandi, potentemente espressivi”. Indossa un soprabito nero e porta “un anello d’oro lavorato a formare una testa di ariete”, un oggetto antico, quasi magnetico. È avvolto da un’aura particolare, simile a un’ondeggiante ombra di fumo, percorsa da scintille, tutto ciò che resta della sua vita mortale.

Il Conte è un uomo enigmatico, molto colto, dotato di profonda (e anche oscura) conoscenza su vari campi del sapere umano, dalla storia delle culture e delle religioni del mondo a quella che potremmo definire magia. È stato un diplomatico, di facciata, ma una spia in realtà, l’antenato degli agenti segreti, sfruttando la sua giovinezza e l’ingegno per avere accesso agli uomini e alle donne più potenti del mondo. Fece parte della Massoneria ma poi approdò a segreti più antichi, più occulti, venendo iniziato ai misteri. Fece diffondere la voce della sua morte e continuò a vivere, compiendo il sacrificio più estremo. Svegliò il Drago, genius loci di Milano, e in cambio del tempo che desiderava gli offrì il suo ultimo istante di vita, divenendo il Senza Morte. In questo modo può sentire le voci dei morti, continuando a vivere nel suo ultimo istante di vita, prolungato all’infinito.
“Sono stato un soldato, una spia, un idealista, un rivoluzionario, un mago. Oggi sono solo un uomo che vuole continuare a vivere, come ogni altro uomo al mondo”.
E per farlo il Conte è disposto a tutto, al punto da essere temuto persino dai demoni. Anche Azazel, in “Quando il diavolo ti accarezza”, dichiara di non fidarsi di lui poiché “tenterebbe di ribaltare la situazione a suo vantaggio”.

Un altro nobile ancora in giro nella Milano di oggi è il marchese Acerbi, anch’esso mal visto da Azazel, che sa che “chiederebbe qualcosa in cambio, qualcosa di subdolo, infido e solo in apparenza innocente”. In attesa di vederlo comparire in qualche romanzo di Luca Tarenzi, qua un articolo per chi volesse indagare sul “Diavolo di Porta Romana”.

La terza nobildonna nota nella città del Drago è la Contessa Arese, che ospita Edwin nella sua torre in “Godbreaker”. Lei è una Dama Bianca, ossia l’anima di un morto col potere di una divinità minore. Il suo nome, un tempo, era Antonietta Fagnani Arese, una nobildonna del Diciannovesimo secolo, famosa per la sua cultura e per i suoi mille amanti, tanto che alla fine se la portò via la sifilide. Ma, a sentire Liathan, non “doveva avere tanta voglia di morire” ed è rimasta a infestare la Terra. “La fama è sopravvissuta alla sua morte, le apparizioni del suo spettro l’hanno alimentata e la fama ha alimentato lo spettro stesso”.

Vive in solitudine in una torre antica, in un angolo del parco del Castello Sforzesco, vicino all’Arco della Pace, circondata dalla nebbia che la protegge e la rende invisibile agli occhi degli umani. Il suo corpo è composto di nebbia, di cui si serve per comporre la propria figura. Il suo guardaroba è piuttosto ridotto e indossa quasi sempre un abito candido, a gonna ampia, e con un’ancor più ampia scollatura, con in testa un cappello con il velo. Non ama farsi vedere in faccia. Ha sensi molto acuti con cui riesce a percepire i movimenti di coloro che si avvicinano alla Torre. Appartiene, assieme ad altri quattro membri, alla Corte del Drago di Milano ed è molto attaccata alle tradizioni e pronta a condannare chi le violenta.

Di certo ci sono altri nobiluomini in città ma tendono a non farsi vedere, rimanendo nell’ombra, o nella nebbia, a osservare e preparare i loro piani. Sempre nell’ombra vivono i Sotterranei, il Popolo delle Profondità, entità difficili da definire fisicamente, quasi delle sagome di pura ombra. Si muovono, di rado, in superficie, senza mai essere visti dai mortali, tranne chi, come Veronica Meis, li vede con la coda dell’occhio. Vengono “dall’altra sponda di quell’oceano inquieto e mutevole che i mortali chiamano sogni e non portano mai niente di buono nel mondo. Semmai, portano via. Anche persone, a volte”. Azazel, che ormai è un umano, non ha molta simpatia per loro e cerca di tenersene alla larga, sebbene in certe strade oscure del Mercato Vecchio sia possibile incontrarli.

Ci sono però anche personaggi positivi e istronici a Milano, come il buon Settala, apparso in “Quando il diavolo abbaia”. Chi è Settala? “Tante cose. Un meccanico, un alchimista, un tuttofare, un collezionista, tra le altre”. Noto anche ai demoni, vive tranquillo la sua esistenza in un garage, senza dar noia a nessuno e senza intromettersi nelle varie contese sovrannaturali che, di tanto in tanto, devastano la città. Fisicamente è un uomo basso, con un “viso bizzarro, rotondo senza essere paffuto e largo quasi quanto era alto, con una fronte vasta e bombata, occhi enormi e bocca minuscola, da pesce, contornata da due baffetti e un ciuffo di barba. Completava il quadro una gran massa di capelli brizzolati, lunghi sui lati ma tagliati sotto la nuca in una pettinatura d’altri tempi che li faceva somigliare a una parrucca”. Indossa, di solito, una tuta blu da meccanico, muovendosi con una camminata a scatti che irradia energia nervosa a ogni passo. È beneducato, cortese con le donne, generoso, non esita a condividere il proprio cibo con gli ospiti.

Vive in una casa vicino a Porta Vigentina, con un’officina integrata, dove svolge i suoi lavori. Un’officina parecchio incasinata e ricolma di oggetti e utensili di ogni tipo, con cui ripara non soltanto macchine, anche esseri umani e demoni all’occorrenza. Possiede una collezione molto vasta di parti di animali, che la gente definisce wunderkammer, ma che per lui è un museo, “la più grande raccolta dell’estremo”che Milano abbia mai visto. La sua figura è ispirata a Manfredo Settala, canonico di San Nazzaro in Brolo, vissuto nel Diciassettesimo Secolo, e figlio di Ludovico, da cui ha ereditato il senso del magnifico e del grottesco e l’interesse scientifico. È noto, appunto, per la sua Camera delle Meraviglie, una collezione di oggetti scientifici di ogni tipo, catalogabili in tre grandi sezioni: i Naturalia, cioè oggetti forniti all’uomo direttamente dalla natura, e suddivisibili a loro volta in animali, vegetali, minerali; gli Artificialia, cioè le creazioni dell’uomo, che grazie alla sua perizia modifica i naturalia secondo le proprie esigenze o estro; i Curiosa, cioè tutto ciò che può incuriosire o stupire in quanto monstra, cioè extra norma. Il Museo Settala poteva, secondo alcuni studiosi e per certi versi, inserirsi in quel filone collezionistico che andava all’epoca di Manfredo sotto il nome di Wunderkammer, o camera delle meraviglie, collezioni diffusesi soprattutto nel centro Europa a partire dal tardo Cinquecento.

Oltre ai nobili, ai Sotterranei e a personaggi stravaganti come Settala, Milano è popolata da altre creature, di per sé non tipiche della città ma che a Milano assumono caratteristiche particolari, come i licantropi (lo sa bene chi ha letto il Giornale circostanziato di quanto ha fatto la bestia feroce nell’Alto Milanese dai primi di Luglio dell’anno 1792 o, in mancanza di quello, la rubrica “Alla luce della luna”), oppure le Strigi e la Dea (in Angelize, di Aislinn) che si annidano nel Cimitero Monumentale, o infine gli angeli (di solito avvistabili sulle cime dei grattacieli) e i demoni (stanno un po’ ovunque, attenzione!).

Stemma del Ducato di Milano dalla sua costituzione il 5 settembre 1395 (incoronazione a Duca di Gian Galezzo Visconti), mantenuta anche dagli Sforza.

Perché tutte queste creature sovrannaturali si rifugiano a Milano? Beh, la città, come vedremo meglio in un successivo articolo, offre interessanti argomenti di protezione per queste entità leggendarie, che vi sono attratte, quasi fosse un faro. Era un medhelan, all’inizio, un santuario celtico, dedicato agli Dei dei Boschi e alle forze selvagge e primigenie della natura. “Su questo medhelan, si incrociavano forze antiche, che percorrevano la terra come linee di energia, la Spina Dorsale del Drago, e proprio nel punto in cui sorse Milano quelle correnti si incontravano e il Drago rendeva manifesta la sua presenza. Una presenza terribile, un potere primordiale che doveva essere compreso e pacificato, se i mortali volevano vivere alla sua ombra. Doveva essere trasformato in un guardiano, in un protettore. In un genius loci”. Per farlo, fu necessario sottometterlo, domarlo, con i riti e i sacrifici. In questo modo il Drago divenne il simbolo di Milano.

Nello stemma dei Visconti (che regnarono a Milano per secoli) infatti si vede un serpente che divora un essere umano. Racconta il Conte Gorani, che di storia e misteri se ne intende, che “le paludi che si stendevano oltre le mura della città, nell’Alto Medioevo, fossero infestate da un drago. La sua semplice presenza avvelenava l’ambiente, come lo sguardo di un basilisco: le acque, la terra, l’aria stessa. La sua tana era nascosta in prossimità delle muram e la gente non poteva più tollerare la sua vicinanza: presto sarebbero tutti morti avvelenati, o fuggiti. Fu dunque Umberto Visconti, il fondatore della sua casata, a improvvisarsi uccisore di draghi e a muovere contro il mostro, armato come da tradizione soltanto della sua spada e della sua fede. (…) Uccise il drago. E mise la sua immagine nel proprio stemma, altra vecchia abitudine degli eroi.”

Attenzione però. Il Drago non è morto, riposa, calmo e silente, sotto il suolo di Milano, grande come una città, un genius loci che lo stesso Liathan definisce “semplicemente inaffrontabile“. Inoltre, più che vederlo, il Drago si sente, si percepisce, “come un fiume nero di scaglie“, dall’alito soffocante, intriso di palude e di morte. Il Drago è forte, potente, stringe i nemici nelle sue spire, invade i pensieri e la mente dei nemici, avvelenandole, o, molto più semplicemente, li sbrana con le sue fauci. Un consiglio? Se passate da Milano, non fate arrabbiare la Corte del Drago!

Libri di riferimento:
Le due lune, Luca Tarenzi, Alacran Edizioni, 2009.
Quando il diavolo ti accarezza, Luca Tarenzi, Salani Editore, 2011.
Godbreaker, Luca Tarenzi, Salani Edizioni, 2013.

Mio articolo precedentemente apparso su "Le lande incantate".

lunedì 16 aprile 2018

Dietro le quinte di "L'ora del diavolo" - leggende lucchesi (2)


DIETRO LE QUINTE DI "L'ORA DEL DIAVOLO" - Leggende lucchesi (2)

Bentrovati, amici dei mondi fantastici! Pronti per seguirmi lungo i sentieri oscuri delle Alpi Apuane? Oggi vi porto alla scoperta di piccole leggende e tradizioni popolari tipiche di questa zona, compresa tra il mare e la Valle del Serchio. Ci siete mai stati? Sono zone molto belle, sia dal punto di vista paesaggistico, che ricche di folklore. Ecco alcune storie che ho recuperato per inserirle nei miei racconti di "L'ora del diavolo". 

L'OMBRA DI FUMO:

Secondo una leggenda, lungo il sentiero che da Minazzana conduce a Basati (siamo nelle Alpi Apuane meridionali), presso una marginetta si staglia una nuvola di fumo dall'aspetto vagamente umano. Non è cattivo, forse è una povera anima che non ha ancora trovato la via per il paradiso. Si muove avanti e indietro lungo il sentiero, sempre vicino alla marginetta.

Riprendo la leggenda nel racconto "Le fate di pioggia", in cui Fabio, il protagonista, si imbatte in un'ombra di fumo dalle sembianze della madre. In questo caso l'ombra rappresenta la proiezione delle paure del protagonista, che non vuole perdere coloro che ha caro.

Piccola anticipazione: anche nel romanzo "I figli di Cardea", secondo volume della saga "Ulfhednar War", Johanna crea un'ombra di fumo con le sembianze di una persona...

LA MANO NERA NEL POZZO:

Questa è probabile sia una leggenda tipica non soltanto delle Apuane, comunque è interessante e la riprendo sempre nel già citato racconto "Le fate di pioggia", e anche in un altro racconto "Il tesoro nel castello" (tra i finalisti al premio Esecranda 2017 e quindi inserito nell'omonima antologia). Si racconta che i bimbi non debbano affacciarsi ai pozzi perché una mano nero potrebbe afferrarli e trascinarli giù: è uno spauracchio per evitare che ci cadano dentro.

In Maremma, invece, si parla di Occhiomalo, il demone dei pozzi, che sta in agguato in fondo ai pozzi e se ti sporgi troppo vedi questi occhi gialli che ti fissano e poi ti tirano giù. Compare nel mio racconto "Il tempio del destino" inserito nell'antologia "I mondi del fantasy VII", di Limana Umanita Edizioni.



LA DANZA DEGLI SCHELETRI:

Questa leggenda spettrale ha ispirato il mio racconto "Le voci alla Balza", inserito nell'antologia "L'ora del diavolo". Pare che sopra Camaiore, in località La Balza, vi sia una casa diroccata, che la gente cerca di evitare di passarci la notte, poiché pare che all'interno succedano cose strane e vi si verificano singolari apparizioni. Si sentono musiche spettrali, vi sono scheletri che danzano, ma di giorno in realtà non si vede niente, soltanto la notte "ci si vede".

IMPRONTE DEL DIAVOLO:

Impossibile enumerarle tutte. In molti paesini delle Alpi Apuane vi sono delle rocce, delle pietre, dei punti in cui, secondo la leggenda, il diavolo avrebbe lasciato la sua impronta. Ad esempio in una valle fra il monte Carchio e il monte Folgorito; oppure in una roccia presso Colle Asinaio; alla località Ciampaccia, presso il paese di Focola;

Parlo di questa leggenda in vari racconti, ad esempio in "Il mercante di sogni" o "La donna di fuoco".

GLI UOMINI DELLA NEVE

Questa è una storia vera, non una leggenda. Gli uomini della neve erano delle persone che partivano da Cardoso e dai paesi delle basse Apuane e andavano su, in cima alla Pania della Croce, alle Buche della Neve, degli avvallamenti particolari dove l'acqua si fermava e si congelava durante l'inverno. Andavano su, lavoravano il ghiaccio, lo tagliavano e se lo caricavano in spalla, servendosi di gerle particolari, e poi tornavano giù in paese per rivenderlo ai signori che volevano pasteggiare con il ghiaccio! All'epoca, e parliamo di un periodo durato fino al secondo Dopoguerra, non c'erano ovviamente i condizionatori e le macchine per fare il ghiaccio, per cui se qualcuno ne voleva un po', questo era l'unico modo per averlo. Per molte persone, soprattutto uomini di mezza età, è stato per anni una fonte di sostentamento.

A loro ho dedicato il racconto "Gli uomini della neve", inserito nell'antologia "L'ora del diavolo".
Era giovane, mio nonno, ancora un bambino, quando suo padre lo portò la prima volta con sé, lassù, in alto, alle Buche della Neve, dove gelidi spirano i venti e portano con sé il lamento dei dannati. Era giovane, ma sveglio, attento e consapevole, tre doti che, nella lunga salita fino alla cima della Pania, potevano fare la differenza tra salvezza e sconfitta, tra vita e oblio. 
Pania. Ormai la chiamano tutti così, non soltanto i turisti, che vengono a scattar du’ foto; mangiano i tordelli della Rina, con due o tre bicchieri di vino rosso, e ciao, ecco il loro viaggio. 
Pania ormai la chiamano pure i nativi, che hanno dimenticato le sue origini, e le loro. La regina delle Apuane, la signora delle Montagne della Luna, così maestosa da abbagliare l’Ariosto, così fredda che Dante ne trasse il ghiaccio con cui coprì il Cocito, anche se Pania non era ancora. Era Pietrapana, la Pietra delle Apuane e del popolo indomito che le aveva abitate prima che fossero cacciati. I Liguri Apuani. I nostri antenati. 
Mio nonno, dei Liguri, doveva avere il sangue, perché mai si è tratto indietro, sempre pronto a seguire la via che saliva su, al Passo degli Uomini della Neve.
CAPRA BIANCA:

Racconta Paolo Fantozzi, in "Storie e leggende della Versilia": "lungo la via che porta ad Arni, prima di imboccare la Galleria del Cipollaio, appariva una capra tutta bianca che seguiva i radi passanti notturni, poi dopo alcuni metri scompariva misteriosamente nel buio". Qualcuno riteneva fosse il buffardello, uno dei folletti dei boschi. Io in "Il mercante di sogni" e in "In viaggio con te" ritengo sia il diavolo che spia gli uomini, per carpire i loro punti deboli.
(Foto di Elio Bonfanti, presa dal sito Planetmountain)

STRAPIOMBO INFERNALE DEL MONTE NONA:

Il Monte Nona (delle Apuane meridionali) ha una parete a strapiombo, davvero impressionante, al punto che è nata la leggenda per cui si ritiene che sia stato il diavolo a crearla. Ne parlo in "Le fate di pioggia", quando Fabio si ritrova in cima al Monte Nona, a un passo dallo strapiombo infernale.

CECCO MARIO: 

Cecco Mario è un gran ciccione, un uomo benestante che vive in una bella casa, circondato dalle sue nipoti che sono costrette a servirlo e a riverirlo. Lui le tiene barricate in casa, con la scusa che il mondo sia un posto pericoloso, in realtà non vuole spendere soldi per maritarle. Dice di aver rubato il tesoro al diavolo, dandogli persino uno schiaffo e, a riprova di ciò, ha una mano ustionata.

SPOILER: In realtà, come scopriamo alla fine, Cecco Mario ha fatto un patto con il diavolo, che gli ha dato dell'oro in cambio dei suoi servigi. Così il ciccione, per non perdere i suoi privilegi, assolda dei mercenari che si schierano contro i Signori dei Boschi e della Natura; ma, con la caduta del diavolo, anche i suoi inganni vengono meno, e l'oro che Cecco Mario credeva di avere in realtà diventa sterco di capra e le donne del paese lo canzonano e gli pisciano addosso.

Secondo la leggenda, un giorno Cecco Mario salì in località Agrifoglio e iniziò a scavare. A un certo punto apparve il diavolo, che si teneva stretta una cassetta piena di monete d'oro, ma alla vista di quel tesoro Cecco Mario divenne baldanzoso e aggredì il diavolo, mollandogli un ceffone, e siccome era stato veloce e coraggioso le monete non si trasformarono in sterco di capra, ma rimasero d'oro per molto tempo.

(Il bosco del Fatonero, foto di Davide Caramaschi, presa dal sito La nostra storia)

TONINO e RINALDO: 

Compaiono nel racconto "La guerra del Fatonero": sono due atletici e coraggiosi boscaioli, rappresentanti degli abitanti dei paesi delle Montagne della Luna, stufi di subire le angherie del diavolo. 

I nomi sono presi dalla leggenda viareggina di due fratelli (non boscaioli) che una sera, tornando a casa, videro un foglio di carta in terra, che in realtà era Giosalpino (il folletto viareggino, che può assumere varie forme). Rinaldo, ubriaco, diede un calcio al foglio ma Giosalpino si arrabbiò, lo prese per la cintura e lo gettò di là dal fosso.

E anche il nostro appuntamento con le leggende per oggi è finito! A presto con nuovi articoli e retroscena! Per leggerne altri, potete usare i tag "leggende", "leggende locali", "leggende lucchesi", "leggende toscane" e trovarli nel blog! ;)