Segnalazione "La tela del maligno" di Gianpiero Pisso
Titolo: La Tela del
Maligno
Autore: Gianpiero Pisso
Editore: Eretica Edizioni
Genere: Mistery storico
Formato: Cartaceo
Pagine: 254
Prezzo:15 euro
ISBN: 978-88-99466-97-8
Link acquisto: sito Eretica Edizioni
Un interesse mediatico
senza precedenti si è scatenato, nel 2012, per una scoperta che ha lasciato il
mondo dell’arte, la Chiesa cattolica, università, studiosi di costumi, storici
e gente comune senza parole. La televisione italiana ne ha parlato diffusamente
in rubriche dedicate alla Scienza e al Mistero ma nessuno, ad oggi, è stato in
grado di dare una spiegazione esauriente dei fatti.
Dopo più di quattrocento
anni una studiosa si è accorta casualmente che nella basilica di San Pietro a
Perugia, esiste un quadro colossale, uno dei più grandi d’Europa, che cela un
inquietante mistero.
La tela, un dipinto a
olio, opera di un artista di scuola veneziana, Antonio Vassilacchi, vissuto
attorno al 1600 e contemporaneo di Tiziano, del Tintoretto e di Paolo Veronese,
osservata da breve distanza mostra santi, papi, alti prelati attorno a san
Benedetto da Norcia, ma scrutata dall’altare maggiore, dove è possibile una
veduta d’assieme, mette in luce un volto demoniaco.
Come è possibile che
nessuno se ne sia accorto prima? Per quale ragione si è introdotta l’effigie
del Maligno in un luogo consacrato? Che significato e quale fine può avere
avuto un atto del genere?
Il Trionfo dell’Ordine
dei Benedettini di Antonio Vassilacchi (1597)
Basilica di San Pietro a Perugia
Trama: il romanzo è
retroattivo. L'incipit è la fine del racconto. Antonio Vassilacchi,
insigne pittore di scuola veneziana, greco di origine, nato sull'isola di
Milos ma vissuto sulla laguna ai tempi dei grandi Tiziano, Tintoretto
e Veronese e allievo di quest'ultimo prima di diventare uno dei pittori
preferiti dai dogi per affrescare le sale di Palazzo Ducale, si sobbarca in
diligenza un lungo viaggio da Venezia a Perugia, unicamente per osservare come
si comportano i fedeli durante la santa messa domenicale nella chiesa di
San Pietro, adiacente al convento benedettino della città. Lì, alcuni anni
prima, aveva dato una valida dimostrazione della sua arte, dipingendo ben
undici tele della vita del Cristo, commissionate dal priore benedettino del
convento.
Lo scopo della sua visita a Perugia è di costatare
personalmente come i perugini avessero accolto il suo undicesimo dipinto, il
più grande, quello che raffigura San Benedetto da Norcia, attorniato da santi,
papi, porporati, che aveva denominato "Trionfo dell'Ordine dei
Benedettini" e che faceva bella mostra sulla parete di ingresso alla
chiesa. In quella tela aveva portato a termine la sua vendetta, mimetizzando il
volto di un demone che si poteva però scorgere solo facendo molta attenzione
alla visione d'assieme e non avvicinandosi troppo al dipinto. Altrimenti si
sarebbero scorti solo i particolari, una schiera di prelati.
Perugia non aveva
reagito come si sarebbe atteso. il suo piano di scandalizzare la città era
fallito. Nessuno si era accorto delle sue intenzioni.
Durante il viaggio di
ritorno in diligenza alla laguna ripercorre le tappe più significative e anche
più dolorose della sua vita che lo avevano portato, giovanissimo, a
Venezia: il suo apprendistato alla bottega del Veronese, il suo amore platonico
per Marietta, l'infuriare della peste, la sua amicizia con un frate scomunicato
nolano, Giordano Bruno, gli amori carnali con Marzia, disinibita perugina,
l'incontro con padre Arnold, tutti i suoi tormenti per l'apparizione di
una figura misteriosa che lo aveva in varie occasioni spaventato. Il
demonio sembra accanirsi in modo particolarmente violento contro di lui. A
Perugia, con il suo allievo prediletto, Tommaso, termina i lavori della
commessa e consegna al priore benedettino le sue tele, compresa
l'undicesima, quella con la quale condanna il Maligno a respirare ogni giorno
il fumo delle candele, prigioniero in un luogo consacrato. Ci può essere punizione
più grande per un angelo decaduto, causa di tanti mali? Poco importa se
sinora i perugini non si siano ancora accorti di nulla.
L’aria era pregna di
vapor acqueo, di fumo delle candele e dell’alito puzzolente di centinaia di fedeli,
di ogni estrazione sociale, che affollavano, quella domenica, le tre navate
della chiesa di San Pietro, edificata attorno all’anno mille sopra la
precedente cattedrale, sede vescovile della città di Perugia, che esisteva sin
dal sesto secolo. Ora l’edificio religioso aveva annesso un monastero
benedettino, che ospitava un’attiva comunità di monaci, dediti ai lavori dei
campi e alla preghiera, secondo il motto dell’ordine: Ora et Labora.La mattinata era
abbastanza fresca e dalla campagna si alzava dalla terra una densa bruma, che
avvolgeva i casolari e le fattorie in un abbraccio intimo e ovattato, quasi
volesse proteggere la riservatezza di quei luoghi e dei suoi abitanti, abituati
ad alzarsi all’alba a trascinare l’aratro, a liberare le zolle dalle erbacce e
a mantenere il terreno costantemente umido, condizione necessaria per un buon
raccolto. La terra era la principale risorsa per chi avesse buona salute,
robuste braccia e una forte schiena, oltre alla ferrea volontà di voler
ricavare dalla natura buona parte del cibo che sarebbe servito ad alimentare
l’intera famiglia. Il resto, carne, uova, latte e formaggio, sarebbero venuti
dagli armenti, greggi e pollame, che avrebbero assicurato le giuste proteine
animali di alto valore nutrizionale.
La domenica mattina,
però, così come in ogni altro giorno di festa, i contadini lasciavano i loro
campi incustoditi, indossavano il loro abito migliore, abbandonavano i loro
attrezzi di lavoro nei magazzini o nei loro capanni e con tutta la famiglia si
recavano alla chiesa più vicina, perché santificare le feste comandate era una
delle premesse per mantenersi in buoni rapporti con l’Altissimo.
Là, sul sagrato dei
luoghi di culto ed entro gli edifici religiosi, si mescolavano con coloro che
abitavano entro le mura della città, gli artigiani, i bottegai, i commercianti,
i faccendieri, che disponevano in genere di entrate superiori e di un tenore di
vita più elevato, come si poteva percepire dalla foggia dei loro abiti e
soprattutto dall’eleganza delle loro mogli e madri, dalle acconciature
ricercate, che tenevano per la mano giovinetti dai capelli impomatati e dalle
movenze contenute e sempre improntate a un certo controllato ritegno che,
talvolta, era però scambiato per arrogante freddezza.
Un sommesso brusio, trattenuto
a stento, saliva sino al soffitto a cassettoni, intagliati e dorati, della
navata principale della chiesa, ma non disturbava più di tanto la funzione di
padre Vincenzo, uno tra i benedettini più anziani del monastero, intabarrato
nel suo pesante saio e con guanti di lana dalle dite mozzate, per ripararsi dal
freddo.
Tutta quell’animazione
era diretta alle prime panche della chiesa dove, imperturbabili, sedevano
monsignor Innocenzo Malvasia, governatore della città, avvolto in un mantello
verde oliva e il cardinale Bonifacio Bevilacqua, legato pontificio di Perugia e
di tutta l’Umbria, dopo essere stato, a soli ventotto anni, patriarca di
Costantinopoli.
Le male lingue
insinuavano che la sua amicizia con il nipote di papa Clemente VIII
Aldobrandini, cardinal Pietro Aldobrandini, gli avesse permesso di raggiungere
quella posizione così importante e di entrare nelle grazie del clero di Roma.
Avvolto nella sua mantellina color porpora, teneva il busto eretto e lo sguardo
fisso sull’altare.
Innocenzo Malvasia aveva
invece svolto, per il papato, delicati incarichi all’estero: commissario
apostolico delle truppe pontificie, che papa Clemente aveva destinato a
sostegno della Lega cattolica in Francia, era stato poi nunzio presso
l’arciduca Ernesto d’Asburgo, governatore delle Fiandre, prima di essere
nominato prima prefetto dell’Annona in Umbria e nella Marca anconetana, poi
governatore di Perugia.Appena alle spalle delle
due eminenti personalità, tutto il loro codazzo di servitori e aiutanti, in
mezzo ai quali sedevano i membri della Confraternita dell’Orazione e della
Morte, fondata trent’anni prima da sedici dinamici perugini, la cui missione
principale era quella di dare sepoltura a chi non avesse ancora una tomba.Perugia, da sessant’anni,
era stata conglobata nello Stato Pontificio e da due anni anche il ducato di
Ferrara aveva subito la stessa sorte, essendo il duca Alfonso II d’Este morto
senza eredi.
Chi è l'autore? Scopriamo Gianpiero Pisso:
Nato in provincia di Varese, sul Lago Maggiore, dove attualmente risiede con la sua famiglia, l’autore è laureato in ingegneria aeronautica e ha, per molti anni, lavorato come dirigente industriale in grosse società italiane e multinazionali straniere.
Ama viaggiare e dedicarsi alle sue tre principali passioni: scrivere, leggere e dipingere ad acquarello.
La sua narrativa, sempre attuale e talvolta ironica, rifugge dagli eccessi e vuole proporsi come una lettura spensierata, disinvolta e scacciapensieri.
Vincitore del premio nazionale “Le Porte del Tempo” 2012, categoria Saggistica, con l’opera: La profezia del Cristo Pagano, edita da Eremon Edizioni. Ha pubblicato anche con Kindle l’e-book Rudiobus, il cavallo d’oro e con Eretica Edizioni, nel 2016, il suo romanzo mistery: La Tela del Maligno.
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