Recensione "Il mulino dei dodici corvi" di Otfried Preussler
“Il mulino
dei dodici corvi” è un romanzo
fantastico dello scrittore tedesco Otfried Preussler, pubblicato per la prima
volta nel 1971 con il nome “Krabat”, il protagonista del
romanzo. La storia riprende la leggenda originaria di Krabat, diffusa tra i
sorbi o sorabi, una popolazione slava occidentale che viveva, nell’Età Moderna,
e vive tuttora, nell’attuale zona dell’Alta Lusazia, tra Sassonia e
Brandenburgo.
Il romanzo affronta la tematica della magia nera e
della tentazione di cedere alle lusinghe del male, contrapponendolo a valori
come l’amicizia, l’amore, la solidarietà e la forza di lottare per il proprio
futuro.
Tutto ha inizio quando Krabat, un ragazzetto sorabo
che campa di furtarelli e piccole truffe, decide di dar retta a una voce udita
nella sua mente, che lo invita a raggiungere il mulino di Schwarzkollm, nella
foresta di Hoyerswerdam (siamo nella Sassonia del Diciassettesimo Secolo,
quando ancora c’era il Principe Elettore a governarla). Il mulino sorge vicino
alla palude di Kosel, sulle rive dell’Acqua Nera, ed è un posto sinistro, da
cui gli abitanti del luogo si guardano, lo considerano maledetto. Krabat vi si
reca e conosce il maestro, che si occupa della gestione del mulino, e i suoi
undici apprendisti. All’offerta dell’uomo di diventare il dodicesimo
apprendista, Krabat accetta e da allora la sua vita cambierà. Scoprirà il
segreto del mugnaio e le arti oscure che vengono praticate nel mulino,
conoscerà l’amicizia, il cameratismo con (alcuni) suoi apprendisti e il male
nella sua forma più cruda. Ma conoscerà anche l’amore e sarà proprio questo
sentimento a salvarlo dal cattivo sentiero.
“Il mulino
dei dodici corvi” è una grande
favola sullo scontro tra Bene e Male. C’è l’eroe, inconsapevole e all’inizio
anche molto ingenuo, ci sono gli amici/aiutanti/mentori, c’è lo shapeshifter
(Juro), presentato come tonto e dannoso ma che invece si rivela il più astuto e
intelligente di tutti, e c’è l’ombra, il mugnaio maestro del male. E c’è
ovviamente la crescita del protagonista, che da ragazzino imberbe e truffaldino
si ritroverà a dirigere un tentativo di ribellione ai danni del mugnaio.
Una caratteristica importante dell’opera è il suo
trovarsi in bilico tra sacro e profano, grazie a una simbologia, anche
numerica, che strizza l’occhio al Cristianesimo; viene subito notato dal
lettore attento l’analogia della Scuola di Magia Nera del mulino di Kosel con
Gesù e i suoi 12 apostoli, qua sostituiti dai dodici allievi, alias i dodici
corvi neri. Anche gli avvenimenti più importanti avvengono in occasione delle
festività, in particolare la Pasqua, il Natale e la fine dell’anno, quando
l’atmosfera si carica di tensione e oscurità. Questa commistione tra sacro e
profano è anche uno scontro tra Bene e Male, tra il tentativo di Krabat di
sfuggire l’oscurità (e quanto è bella la Magia Nera! Lui stesso, più volte, lo
afferma, arrivando a ritenerla persino utile e divertente, in alcune occasioni)
e alle tentazioni del maligno, e invece il bisogno ossessivo del maestro di
tenere gli apprendisti a sé, per onorare il patto stretto con il Compare. Da
questo punto di vista, è un romanzo di formazione, istruttivo, che mette in
guardia sulla pericolosità del male.
Lo stile di Preussler è molto semplice e diretto, a
tratti persino fiabesco. La storia segue fondamentalmente Krabat, mostrandoci
tutto quello che vede e a cui assiste, le sue scoperte, le sue sconfitte e le
sue vittorie.
La struttura ricalca quella del viaggio dell’eroe, con
l’eroe, Krabat, che si trova ad affrontare il male (il mugnaio), coadiuvato da
alcuni mentori (Tonda, per primo, Juro, poi), tramite progressiva scoperta di
sé e del mondo straordinario in cui si è ritrovato a vivere e il superamento di
alcune prove (tra cui perdite dolorose).
“Il mulino
dei dodici corvi” è un libro che
si apprezza per lo stile di scrittura, veloce e leggero, e anche se non brilla
per originalità (la struttura, come detto sopra, è quella tipica del Viaggio
dell’Eroe), regala comunque bei momenti appassionanti al lettore, che cresce
con Krabat. Come Krabat, entriamo nel mulino in punta di piedi, attirati ma al
tempo stesso impauriti da quell’energia nera che lo pervade, decidiamo di
restare e di apprendere, perché le lusinghe del maestro raggiungono il nostro
cuore, perché usare la magia è inebriante, divertente e a volte fa pure
risparmiare tempo e fatica. Ma poi, come Krabat, impariamo a conoscere anche il
lato oscuro, il dolore e la perdita, e ci rivogliamo agli amici, ai compagni,
per proteggerli e per unirci contro il Male. Una piccola grande epopea che si
svolge nell’arco di tre anni nella palude di Kosel, ricca di valori che poi
compariranno in tanti altri fantasy successivi (da Harry Potter a Percy
Jackson). Una storia scritta cinquant’anni fa, sulla falsariga delle leggende
sorabe dell’Età Moderna, ma che trascende il tempo fino ad assurgere a storia
dal valore universale. Il Bene contro il Male. E in questa guerra ognuno, anche
il più piccolo (un apprendista mugnaio) uomo può fare la differenza, se davvero
crede nell’onestà del suo agire.
(Mia recensione originariamente apparsa sul sito "Le lande incantate").
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