Recensione "Nessun cactus da queste parti" di Mirko Tondi
Siamo
a Porto Rens, una degradata metropoli americana, cento anni da oggi. Una città
definita “una moderna Gotham”. Un detective in crisi esistenziale fronteggia i
suoi fallimenti, inseguito dal fantasma di una logorante dipendenza alcolica e
da quello di Dana, la donna che l’ha mollato ormai da tempo. Il riscatto però è
dietro l’angolo, grazie a un nuovo caso per lui, un caso decisamente originale:
deve trovare un ladro di nomi. Roba non da poco. Una volta lo chiamavano drago.
E ora il drago sta per tornare nel mondo, quantomeno nei rimasugli del mondo. Questo è "Nessun cactus da queste parti", il romanzo di Mirko Tondi (edito da Il Foglio Letterario) che gioca con i generi, mescolandoli.
“Per quanto ne sappia, non si era mai sentito parlare di qualcuno che se ne andava in giro a rubare nomi come se niente fosse. Magari si era sentito dire di ladri di merendine, ladri d’appartamento, ladri d’auto, ladri di gioielli o d’opere d’arte. O al massimo di ladri di biciclette. Ma mai, che io mi ricordi, un ladro di nomi. Per cui la faccenda suonò strana un bel po’, capirete, quando nel mio ufficio (o quella sorta di garage decadente che io avevo adibito a ufficio, e che era anche la mia casa) si presentò quel tizio, che poi, a pensarci adesso, fu l’inizio di tutto”.
Il
personaggio principale, la voce narrante e anche gli occhi che permettono al
lettore di addentrarsi negli oscuri e malfamati sentieri di Porto Rens sono
quelli del protagonista, il leggendario drago, che ci regala continue perle
sagaci. Si tratta di un detective che, un tempo, ha anche piazzato dei bei
colpi, aveva la sua vita, la sua donna, ma adesso è sprofondato in una grave
crisi esistenziale, vive in un garage con pochi soldi (donuts! Questa la nuova
moneta in circolazione) e una piantina, ma nemmeno di quella riesce a prendersi
cura. Disilluso e disincantato, trova però la forza per (ri)mettersi in gioco
quando un ometto basso si presenta alla sua porta con un caso decisamente
originale: un furto di nomi. Inizia così una nuova indagine, un viaggio nello spazio
e, soprattutto, nel tempo, fino alla scoperta della verità. Un protagonista che
non è un eroe classico, anzi forse nemmeno vuole esserlo, forse nella Porto
Rens del ventiduesimo secolo gli eroi non esistono più, morti in qualche guerra
che ha dilaniato il mondo o fatti uccidere da Don Cazal, eppure il drago trova
il modo di rialzare il capo e mostrare il suo orgoglio, la sua determinazione,
la sua voglia di sopravvivere.
Attorno
al Drago ruotano altri comprimari, tratteggiati in maniera singolare, a volte
quasi grottesca, da Don Cazal, il boss della città, a Al, il titolare del banco
dei pegni dove il drago si reca per necessità, senza dimenticare Aki, il
giapponesino “smanettone” esperto di informatica e tecnologia (quello che
resta, quantomeno, della tecnologia dopo il tracollo del ventunesimo secolo), e
Dana, la misteriosa, affascinante e insoddisfatta ex ragazza del protagonista.
Il
romanzo segue l’indagine del drago di Porto Rens, incaricato di scoprire chi
abbia rubato i nomi ad alcune persone. Un’indagine che non è soltanto la
risoluzione di un enigma ma anche un viaggio del protagonista verso il recupero
di sé e della sua dignità, che Porto Rens e lo sporco ventiduesimo secolo gli
hanno portato via. Oltre a questo, apprendiamo come è involuto il mondo nel
corso del ventunesimo secolo, come gli stati si sono fatti la guerra, come i
mutamenti climatici e ambientali abbiano sconvolto il pianeta, come si siano
alternate mode sempre più bizzarre, ad esempio quella del continuo cambio di
nomi alle città o agli stati (Porto Rens, infatti, prima era Rens, prima ancora
Kalver, e prima ancora New Orleands!). La narrazione è affidata al detective
protagonista che la infarcisce spesso di divagazioni, ricordi, lampi dal
passato, considerazioni sul mondo e sulla sua vita, riflessioni sull’indagine,
citazioni di libri (ormai una rarità), film e canzoni del passato (lui è un
vero e proprio passatista e fiero di esserlo!) e quant’altro trabocchi dalla
sua mai placida mente, fino a creare una storia che, come un fiume in piena,
esonda di continuo, straboccando fuori dagli argini e giungendo in mare con
gran fragore.
“Ogni ritorno alla vita dopo che si è tentato di buttarla comporta una ragionevole dose di sofferenza. Come a dire che adesso ti devi riguadagnare il diritto a chiederla indietro. Io l’avevo presa e sbattuta a terra, poi ci ero passato sopra coi piedi. E ora avrei voluto semplicemente raccoglierla e dargli una spiegazzata, oh sì, se fosse stato possibile!”
Lo
stile dell’autore è a dir poco delizioso, curato e ben studiato, modellato in
base ai pensieri e al modo di esprimersi del protagonista e al suo complicato
rapportarsi con gli altri. Sa essere ironico, a tratti malinconico e nostalgico
(pur senza sfiorare nel patetico), avventuroso e incalzante nelle sequenze
d’azione, e discorsivo quando il drago si perde nelle reminiscenze del passato.
Sembra di leggere John Fante o un autore americano del Novecento. È un modo di
narrare che si prende il suo tempo, che porta il lettore dentro la storia e non
si limita a raccontare i fatti, ma li fa vivere. In mezzo a tanta sciattezza
formale moderna, è bello e appagante leggere un libro scritto da qualcuno che
sa scrivere, e sa giocare con la scrittura.
“Ma cos’era poi la vita, se non il susseguirsi continuo di quelle fluttuanti condizioni, un saliscendi snervante che ti faceva andare giù nell’abisso, doppio abisso, abisso degli abissi, e poi magari, se eri abbastanza forte o abbastanza fortunato, risalire a metà o fino in cima, addirittura, su una vetta che potevano calpestare in pochi?”
“Nessun cactus da queste parti”
è un libro difficile da collocare in una libreria, in quanto mescola elementi
appartenenti a generi diversi, in un unicum decisamente originale. L’impianto
di base è quello di un’indagine condotta da un investigatore privato, sullo
sfondo però di una degradata metropoli futurista, che viene portata a
compimento… viaggiando nel tempo! Parlarne senza anticipare troppo sulla trama
non è facile, perché ogni pagina racconta qualcosa, del Drago, di Porto Rens,
di come il mondo si sia malridotto nel corso dei cento anni che ci separano da
questi eventi, di come però la speranza non sia perduta. Non tutta, quantomeno.
C’è per il drago la possibilità del riscatto, di superare l’abisso di apatia e
di niente in cui si ritrova immerso e rifarsi una vita, una vera, una che non
sia soltanto attendere, una che non sia sopravvivere, come un cactus. E c’è
molto altro: ci sono scorci di passato e di luoghi diversi, ci sono geniali
invenzioni utopistiche, giochi di geopolitica, omaggi e citazioni a libri,
film, canzoni e persino a opere d’arte amate dall’autore, e c’è l’inganno. Eh
sì, perché anche se siamo curiosi di sapere cosa succederà/sia successo nei
prossimi cento anni, anche se siamo affascinati dai personaggi grotteschi che
popolano il romanzo, con le loro manie e il loro naufragare fuori dal mondo,
siamo comunque nel bel mezzo di un’indagine, che procede, a rilento, con quei
pochi elementi di cui il Drago dispone, fino alla rivelazione finale. Un gioco
nel gioco.
“Nessun cactus da queste parti” è un
libro da leggere al mare, per rilassarsi sotto l’ombrellone, per convincersi
che i nostri problemi sono universali e che magari si ripresenteranno a un
nostro discendente tra cent’anni. È un libro che però, pur divertendo, fa anche
riflettere su molte cose, dagli eccessi e abusi della tecnologia ai conflitti
tra gli stati, dai problemi ambientali a quelli di sicurezza urbana. Spunti di
riflessione e brecce di speranza per il Drago, per Porto Rens e forse per
l’umanità tutta.
(Mia recensione originariamente pubblicata sul sito "Le lande incantate").
(Mia recensione originariamente pubblicata sul sito "Le lande incantate").
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