sabato 9 aprile 2016

Dietro le quinte dei miei racconti: le creature delle Alpi Apuane

DIETRO LE QUINTE DEI MIEI RACCONTI: LE CREATURE DELLE ALPI APUANE

Ho già parlato, in precedenti articoli, dei folletti della Versilia, delle fate di pioggia e degli streghi, alcuni dei tanti personaggi fantastici che popolano l'universo folkloristico delle Alpi Apuane e della Versilia; quest'oggi mi concentrerò su alcune creature (tipiche non soltanto di questa zona, in verità, sebbene, come in tutte le tradizioni, qui abbiano le loro peculiarità) particolari, indicando anche i racconti in cui compaiono.

Gigante di Pietra: in tante regioni d'Italia compaiono leggende di giganti di pietra diventati montagne o rocce, per la forma bizzarra del territorio. Anche le Alpi Apuane non fanno eccezione. Tutti conoscono l'uomo morto (meglio detto, nella zona, "l'omo morto"), una serie di rilievi che, visti lateralmente (dalla Garfagnana) somigliano al profilo di un uomo sdraiato (naso, labbra, mento...). Una leggenda più interessante riguarda il gigante di pietra del Monte Freddone (che compare nel mio racconto "La guerra del Fatonero", per partecipare alla grande guerra che si sta combattendo nel bosco del Fatonero). Come riportato nel volume "Storie e leggende della Versilia" di Paolo Fantozzi, "il monte Freddone è un gigante trasformato in un mucchio di pietre". Pare infatti che, un giorno, questo gigante, arrogante e prepotente, ebbe una lite con i propri fratelli e tanta fu la rabbia che andò a nascondersi dietro il monte Corchia, in un luogo umido e freddo, dove poi con il corso del tempo si trasformò in un mucchio di pietre. Occhio quindi a non svegliarlo se vi capita di passeggiarci sopra!

Omo selvatico:  un altro tipico personaggio delle Alpi Apuane. Si tratta di un uomo dalle bizzarre abitudini, che se ne stava sempre solo nella sua tana (la "buca"): era triste quando era bel tempo, mangiava la buccia dei frutti e gettava via la polpa. Quando il tempo era brutto lavorava, mentre riposava se c'era il sole. Stava per i fatti suoi, nei boschi, non amando la compagnia degli uomini, calzava scarpe fatte di corteccia d'albero e vestiva un mantello di pelliccia, cibandosi soltanto di erbe selvatiche. La sua tana pare fosse vicino a Mosceta, tra il Monte Corchia e la Pania della Croce.

"Un giorno l'Omo Selvatico fu convinto dai pastori ad andare ad abitare con loro. Lo convinsero con molta fatica, ma ne guadagnarono preziosi suggerimenti. Per esempio L'Uomo Selvatico insegnò loro a fare il burro e il formaggio ed essi non volevano lasciarlo andare più via, nella speranza che potesse insegnare loro qualcosa di più. L'uomo selvatico svelò ancora altri segreti e quando i pastori si convinsero che ormai non c'era più niente da imparare gli dissero che sarebbe potuto tornare nella sua terra, tanto loro non ne avevano più bisogno. L'Uomo Selvatico se ne andò ma prima volle dire quanto fossero stati stupidi perché se l'avesero fatto rimanere ancora un giorno, li avrebbe insegnato a fare l'olio. Se ne andò e nessuno lo ha più visto."

Una favola, quindi, che ha anche un piccolo insegnamento morale, puntando l'attenzione sulla continua avidità degli uomini, più interessati al profitto, alle cose materiali, che non ai rapporti umani o alla semplice conoscenza.

L'Uomo Selvatico compare nel mio racconto "Gli uomini della neve", ambientato sulla Pania della Croce, e anche in "La guerra del Fatonero", sempre pronto a difendere la natura.

Lungo e greve, scosse l’intera vallata, echeggiando da Col del Vento fino a Pozzo Fornovolasco, sovrastando persino l’ululato del vento. A mio nonno sembrò il soffio di un trombone, simile a quelli che in paese costruivano in primavera, quando i polloni di castagno entravano in succhio, per richiamare i contadini che si attardavano nei boschi dopo il vespro. In ogni caso quell’improvviso trombone frenò la carica dei mufloni, spingendoli a riunirsi e a incamminarsi verso la cima della Pania, dove un’alta sagoma li stava aspettando. A vederla dal basso, con il sole alle spalle, mio nonno non riuscì a delinearne i lineamenti ma quella corporatura robusta, ricoperta da una pelliccia odorosa di muschio (forse la sua stessa pelosa pelle?), fu per lui inconfondibile e, quando ebbe riunito i malconci compagni, disse loro che l’Omo Selvatico li aveva salvati. (Estratto dal racconto "Gli uomini della neve", di Alessio Del Debbio).

Centauri: creature leggendarie, metà uomo e metà cavallo, tipiche di numerose mitologie, compaiono anche sulle Alpi Apuane, ovviamente. In quelle montagne dai boschi rigogliosi, non potevano mancare. Chissà, magari vi si sono trasferiti dall'antica Grecia o da Roma in tempi antichi. Compaiono nel mio racconto "La guerra del Fatonero", guidati dall'indomito Chirone. (Eh sì, proprio lui!)



Veltro: in “La guerra del Fatonero” è un’eroe leggendario che, molto tempo addietro, riuscì a ferire il diavolo usando una Spada d’Oro (la celebre lama d’oro dei Liguri Apuani). Cadde nel difendere il suo castello, a Mommio, nel 1198, tra le fiamme che lo circondavano da ogni lato, circondato dagli amici e dalla compagna Euenga di Ufo che non riuscì a salvare. 

Tutti i miei racconti qui citati sono presenti nell'antologia "L'ora del diavolo", di Alessio Del Debbio, disponibile su tutti gli store di libri e ordinabile in libreria. Le citazioni sono tratte dal libro del prof. Fantozzi (più volte citato e santificato in questo blog) "Storia e leggende della Versilia", edizioni Le Lettere. Buona lettura!
 


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