Recensione "LE PALUDI D'ATHAKAH" di Stefano Mancini
Torna Stefano Mancini sul blog "i mondi fantastici", una garanzia per quanto riguarda l'epic fantasy italiano. Il libro di cui vi parlo oggi è "Le paludi d'Athakah", che in realtà è il primo volume delle Cronache di Mhur, ma può anche essere letto dopo i due libri successivi ("Il figlio del drago" e "Il crepuscolo degli Dei"), in quanto ambientato molto prima, praticamente un grande prologo alla guerra tra elfi e nani narrata nei due volumi seguenti. Con uno stile di scrittura ben curato e raffinato, l'autore ci porta di nuovo nelle terre di Mhur, a chiudere il cerchio di un viaggio iniziato durante i Giochi Funesti svoltisi a Iirn e che hanno segnato per sempre i rapporti tra elfi e nani. Cosa è successo prima? Lo scopriamo in questo bel romanzo che copre ben 500 (forse anche di più) anni, dalla Campagna d'Athakah, lanciata da Aurelien il Grande, fino appunto ad arrivare ai giochi per il cinquecentenario della città di Iirn.
Ricordo l'ordine delle Cronache di Mhur - L'età delle guerre:
- Le paludi d'Athakah
- Il figlio del drago (recensito qua) (si può leggere anche senza aver letto il precedente)
- Il crepuscolo degli Dei (recensito qua) (la lettura di "Il figlio del drago" è necessaria per comprendere situazioni e personaggi).
Il romanzo inizia con Aurelien, re di tutti i ryn, che sta guidando una spedizione militare nell'Athakah, il continente più orientale di Mhur, allo stato attuale una grande palude infestata da qualche tribù di uomini e soprattutto dagli orchi. Guidati da Kurush Lamadisangue, i musogrigio hanno opposto un'incredibile resistenza agli eserciti di elfi e nani, procrastinando per un secolo il conflitto, che giunge adesso a un punto di svolta, quando Aurelien affronta il capo degli orchi in un duello destinato a essere cantato per secoli. Da lì, il romanzo prosegue mostrando il culmine dell'Età dell'Oro degli elfi, e dei nani loro alleati, che si manifesta con l'edificazione della grande città di Iirn, proprio nell'Athakah, faro di speranza e porto a cui elfi, nani e persino uomini possono approdare, un simbolo di pace e prosperità. Ma, come tutte le cose belle, anche i tempi favorevoli giungono alla fine e progressivamente nuove ombre salgono a oscurare lo splendore di Aurelien e del mondo da lui creato. Il romanzo apre la trilogia delle Guerre di Mhur, al termine delle quali (alla fine di "Il crepuscolo degli Dei") i rapporti tra le razze e gli equilibri del mondo non saranno più gli stessi.
Oltre allo stile di Stefano Mancini, che ormai è una garanzia, per il modo ben curato con cui presenta le sue storie, ho apprezzato due cose del romanzo: prima di tutto la struttura, l'essere un volume corposo che, come le antiche cronache, non narra un solo episodio, bensì un'epoca intera, abbracciandola nel suo complesso. Per cui ecco che troviamo tanti personaggi, luoghi e situazioni diverse: la campagna d'Athakah, i generali degli elfi, i re dei nani, i loro figli e nipoti, gli studi e le ricerche di Jyrien, la fine delle guerre, la nascita dei tre principi Lathlanduryl, Methke il mezzuomo e molte altre trame che si uniscono a formare un unico fiume, quello che bagna l'Età dell'Oro, fino alla sua foce. L'autore ci dimostra che per raccontare una bella storia fantasy non serve necessariamente un "bad guy" (che, il più delle volte, come Sauron o tanti altri, è semplicemente un Signore Oscuro) ma si può raccontarla in molti modi, seguendo le gesta e soprattutto lo sviluppo di un'intera società. Gli elfi, in questo caso, e i nani, in seconda battuta. E poi, se vogliamo, il vero nemico di queste razze sono loro stessi, il senso di vuoto che subentra nella maggior parte di loro una volta che le guerre sono finite, il culmine della potenza raggiunto da elfi e nani e che li porterà a capire che il mondo, come l'hanno conosciuto, è troppo piccolo per entrambi.
La seconda cosa che ho apprezzato è probabilmente imputabile a una mescolanza di fattori. Conoscevo già quel che sarebbe accaduto dopo i Giochi Funesti, ma ero curioso di scoprire come si era arrivati a questo punto, cosa c'era prima, e il libro mi ha soddisfatto; tanto ero preso dalla trama e dal ritrovarmi partecipe ai pensieri di Aurelien che a un certo punto mi ero quasi dimenticato che sapevo già come sarebbe finita. Inoltre ho apprezzato la presenza di sottotrame inaspettate, come Methke e la creazione dell'amuleto di Jyrien, che hanno decisamente aggiunto la sorpresa alla piacevolezza della lettura. Certo, arrivati alla fine, resta un po' di amaro in bocca, non per il libro, certamente, ma per come vanno a concludersi le cose: l'orgoglio di Kalanath, il suo infantilismo (quanti calci nel culo gli avrei dato!) e il suo continuo rapportarsi al padre, il suo volergli essere superiore, decretano in qualche modo il destino di tutte le terre di Mhur. Forse era così che doveva andare, forse tutti gli imperi sono destinati a ergersi fino a sfiorare il sole e poi a crollare. Chissà. Meditiamo! :)
“Pur a tanti decenni di distanza, Aurelien ricordava le vele bianchesullo sfondo assolato delle spiagge di YnisEythryn, così comericordava le voci delle migliaia di guerrieri al suo comando.Quell’immagine l’aveva colpito a tal punto, che rammentavadi essersi concesso un lusso altrimenti negato ai re: aveva pianto.Poche aspre lacrime gli avevano rigato il volto, mentre le orecchie sibeavano al suono delle onde infrante dalla prua della nave.Perfino adesso, se faceva attenzione, riusciva a riesumare dalla massainforme dei suoi ricordi l’odore dell’acqua salmastra diquel giorno e del legno ancora fresco del ponte della sua nave.”
Oltre allo stile di Stefano Mancini, che ormai è una garanzia, per il modo ben curato con cui presenta le sue storie, ho apprezzato due cose del romanzo: prima di tutto la struttura, l'essere un volume corposo che, come le antiche cronache, non narra un solo episodio, bensì un'epoca intera, abbracciandola nel suo complesso. Per cui ecco che troviamo tanti personaggi, luoghi e situazioni diverse: la campagna d'Athakah, i generali degli elfi, i re dei nani, i loro figli e nipoti, gli studi e le ricerche di Jyrien, la fine delle guerre, la nascita dei tre principi Lathlanduryl, Methke il mezzuomo e molte altre trame che si uniscono a formare un unico fiume, quello che bagna l'Età dell'Oro, fino alla sua foce. L'autore ci dimostra che per raccontare una bella storia fantasy non serve necessariamente un "bad guy" (che, il più delle volte, come Sauron o tanti altri, è semplicemente un Signore Oscuro) ma si può raccontarla in molti modi, seguendo le gesta e soprattutto lo sviluppo di un'intera società. Gli elfi, in questo caso, e i nani, in seconda battuta. E poi, se vogliamo, il vero nemico di queste razze sono loro stessi, il senso di vuoto che subentra nella maggior parte di loro una volta che le guerre sono finite, il culmine della potenza raggiunto da elfi e nani e che li porterà a capire che il mondo, come l'hanno conosciuto, è troppo piccolo per entrambi.
La seconda cosa che ho apprezzato è probabilmente imputabile a una mescolanza di fattori. Conoscevo già quel che sarebbe accaduto dopo i Giochi Funesti, ma ero curioso di scoprire come si era arrivati a questo punto, cosa c'era prima, e il libro mi ha soddisfatto; tanto ero preso dalla trama e dal ritrovarmi partecipe ai pensieri di Aurelien che a un certo punto mi ero quasi dimenticato che sapevo già come sarebbe finita. Inoltre ho apprezzato la presenza di sottotrame inaspettate, come Methke e la creazione dell'amuleto di Jyrien, che hanno decisamente aggiunto la sorpresa alla piacevolezza della lettura. Certo, arrivati alla fine, resta un po' di amaro in bocca, non per il libro, certamente, ma per come vanno a concludersi le cose: l'orgoglio di Kalanath, il suo infantilismo (quanti calci nel culo gli avrei dato!) e il suo continuo rapportarsi al padre, il suo volergli essere superiore, decretano in qualche modo il destino di tutte le terre di Mhur. Forse era così che doveva andare, forse tutti gli imperi sono destinati a ergersi fino a sfiorare il sole e poi a crollare. Chissà. Meditiamo! :)
Nessun commento:
Posta un commento