Recensione "Il canto del ribelle" di Joanne Harris
“Il canto del ribelle” è un romanzo fantastico di Joanne Harris, prequel alla trilogia “Runemark”,
già edita da Garzanti. Il libro è comunque fruibile indipendentemente dalla
lettura degli altri volumi.
La storia è ambientata ad Asgard, ai tempi
del mito, e ne segue la costruzione, l’edificazione e il crollo, per mezzo
della voce narrante di Loki, Dio degli Inganni e, in questa storia, fratello
adottivo di Odino. Un tempo era un demone del fuoco, che Odino tirò fuori dal
Caos, poi è stato fratello del Signore degli Asi, pur senza mai essere
considerato uno “del gruppo” da parte degli altri Asi, infine è stato giudicato
colpevole delle peggiori nefandezze, imprigionato e poi compartecipe della
caduta di Asgard durante il Ragnarok.
Il libro riprende elementi della mitologia nordica,
delineando un quadro completo della storia di Asgard, e in particolare del
ruolo avuto da Loki nella creazione e/o nella risoluzione di alcuni problemi,
come il taglio dei capelli di Sif, la forgiatura di Mjolnir e della lancia
Gugnir, il rapimento di Idun, la morte di Balder e infine l’apocalisse nordica.
Io conosco una storia, o figli della terra.Parlo come devo.Di come nove alberi hanno dato vita ai MondiAffidati ai giganti. Va bene. Basta. Basta così. Quella era la Versione Ufficiale. La Profezia dell’Oracolo, così come è stata raccontata a Odino Padre di Tutti dalla Testa di Mimir il Saggio e che tratta, in trentasei strofe, tutta la storia dei Nove Mondi, da “Che sia fatta luce” fino a Ragnarok. Fantastico, non vi pare? Bene, questa non è la Versione Ufficiale. Questa è la mia versione dei fatti. […] Una volta tanto cominciamo da me. Altri hanno già avuto l’occasione di raccontare la loro versione dei fatti. Questa è la mia. Io la chiamo Lokabrena o, tradotto approssimativamente, Il Vangelo di Loki. Loki sono io, il Portatore di Luce, l’eroe incompreso, elusivo, bello e modesto. Non prendetelo come oro colato, ma è vero almeno tanto quanto la Versione Ufficiale e, oserei dire, più divertente. Sin qui la storia mi ha assegnato un ruolo assai poco lusinghiero. Adesso tocca a me entrare in scena.
Il romanzo è suddiviso in quattro parti, definiti
libri (luce, ombra, crepuscolo e tramonto), che seguono la vita di Loki e il
suo rapporto di amore/odio con Asgard e con gli Asi. Luce è
ovviamente l’inizio di tutto, ispirata al celebre verso della Profezia
dell’Oracolo: “Che sia fatta luce!”. In questa fase il lettore fa la
sua conoscenza di Loki, il narratore, e del mondo in cui si ritrova a vivere,
con qualche accenno di cosmogonia generale, finché Odino non viene a prelevare
il demone dal caos e lo porta ad Asgard, dove conosce la sua nuova famiglia.
Inizialmente Loki cerca di farsi apprezzare, ci prova a farsi se non voler bene,
quantomeno a non farsi odiare. Ma gli Asi sono una casta chiusa e molto tronfi
e orgogliosi e lo accusano di ogni nefandezza, anche delle più sciocche
banalità, generando risentimento nel suo animo, risentimento inasprito dal
silenzio di Odino che, in qualche modo, avalla il motteggiare continuo del
resto delle Divinità. È qui, infatti, che nasce il germe della rivalsa in Loki.
Nella fase “Ombra”, tramite la narrazione di varie avventure (alcune
note ai lettori delle opere classiche della mitologia nordica) che coinvolgono
Loki e gli altri Dei (Thor, in particolare, ma anche Odino, Frey, Freyja), il
Nostro Umile Narratore cerca di scoprire i punti deboli degli Asi, seminando
zizzania tra loro per indebolirli, in cerca della sua rivalsa, ma non approda a
niente di definitivo, ritrovandosi spesso anche a salvarli. Nella terza fase
l’imbrunire si avvicina, complici la profezia dell’oracolo e i sogni di Balder
il bello, di cui Loki provoca la morte. Come noto, ciò porta al suo
incarceramento e all’inizio del Ragnarok. La parte finale, appunto il tramonto,
è il momento della fine della civiltà degli Asi, perlomeno quella che era
esistita fino a quel momento. Come ricorda Loki, e anche Einstein, nel mondo
tutto si trasforma, e anche i Mondi (i nove Mondi, nio heimar in
norreno) si trasformano e dopo la fine cosa c’è? Distruzione? Oblio? Una nuova
vita? O, forse, più semplicemente un nuovo mondo?
Lo stile della Harris, in questo romanzo, è davvero
calzante. La voce narrante è quella di Loki, che domina in tutte le riflessioni.
Suo è il modo di raccontare (fresco, scanzonato, istrionico, con frecciatine
continue a tutto e a tutti), sua la visione del mondo, suoi i sentimenti dentro
cui il lettore entra (sia pur a fatica, dato che non è tipo da ammetterli),
suoi sono gli intrighi in cui ci ritroviamo coinvolti. È vero, sappiamo già
come finirà (o, quantomeno, chiunque abbia un minimo di conoscenza della
mitologia nordica lo sa), ma il modo di raccontare di Loki (affabile,
coinvolgente, sarcastico a volte) e il modo in cui l’autrice ha recuperato
elementi e situazioni narrate del mito incastrandole in una personale
cronologia fanno mettere da parte la paura di saper già tutto e permettono di
entrare dentro la storia.
Agli amanti dello stile aulico/mitologico, forse il libro non piacerà, perché il modo di parlare di Loki è molto moderno, schietto, diretto, ma, va detto, è decisamente azzeccato al tipo di personaggio che l’autrice ha creato e delineato.
“Penso di poterlo convincere ad aiutarci. È solo
questione di offrirgli il giusto incentivo”.
“Sei davvero tanto bravo?” ha chiesto Thor.
Ho sorriso. “Meglio. Sono Loki”.
“Sei davvero tanto bravo?” ha chiesto Thor.
Ho sorriso. “Meglio. Sono Loki”.
“Il canto
del ribelle” è un libro
meraviglioso, raccontato da un protagonista meraviglioso che suscita, dalla
prima all’ultima riga, la simpatia del lettore per il suo essere bastardo,
manipolatore (trickster, potremmo definirlo), persino cospiratore, ma
soprattutto perché, per quanto ci provi a odiare Odino e gli Asi, per quanto
male voglia scaricare su di loro, lui sa (e di rado lo ammette, perché
ammetterlo vuol dire soffrire e il dolore è una di quelle cose che il suo
Aspetto Fisico non sopporta!) di essere un outsider, di non
essere mai davvero riuscito ad appartenere a quella gente, a quella società
che, pur con tutti i suoi difetti, avrebbe potuto essere la sua casa. Simpatia
quindi verso il protagonista, e anche un’originale (ri)presentazione dei fatti,
non obiettiva (ovvio! È anche dichiarato nel Prologo), né
esaustiva (parliamo di miti, non di fatti storici) ma realmente coinvolgente.
La Harris è anche brava a riprendere la mitologia e le avventure più note di
Thor e degli altri Asi (come il taglio dei capelli di Sif o il rapimento di
Idun), creando una cornice narrativa in cui tutto ha il suo posto. Una
precisazione è d’obbligo, per il lettore purista: questo è un romanzo, non un
saggio di mitologia nordica, perciò i fatti sono funzionali alla trama e, a
volte, ci sono modifiche o omissioni, come è logico che sia, rispetto alla
versione più nota del mito, che, comunque, è pur sempre un mito (uno dei
tanti), non storia. Un lavoro impegnativo quello dell’autrice che, a mio
parere, è riuscito molto bene. Un lavoro che non è una rivalutazione di Loki o
una giustificazione alla malvagità delle sue azioni, ma è un’osservazione degli
eventi da un’altra prospettiva. Una versione non ufficiale, come dichiara lo stesso
Loki nel Prologo, ma decisamente divertente, scanzonata, seppur non priva di
drammaticità e di sentimenti. Proprio quel dolore (fisico, ma anche interiore)
che Loki ha sempre tentato di evitare, finendo per cascarci proprio dentro. E
noi, lettori, con lui.
(Mia recensione originariamente apparsa sul sito "Le lande incantate").
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