mercoledì 16 gennaio 2019

Recensione "Volo su Titano" di S. Weinbaum

Recensione "Volo su Titano" di S. Weinbaum

Volo su Titano” è un’antologia contenente undici racconti di fantascienza di Stanley Weinbaum, edita da Fratini Editore nel 2013, nella collana Mellonta Tauta, dedicata alla letteratura pulp. Alcuni di questi racconti sono inediti, altri erano già stati tradotti in italiano ma dispersi in varie antologie, quindi questa è la prima volta in cui sono riuniti in un unico volume. La traduzione è stata affidata a Roberto Chiavini, che ha curato anche altre traduzioni di autori americani degli anni Trenta (sempre con Fratini Editore, ad esempio, ha tradotto i racconti western di Robert E. Howard e quelli horror di Henry S. Whitehead).

I racconti sono stati tutti scritti da Weinbaum negli anni Trenta e pubblicati su riviste di settore, come Wonder Stories o Astounding, negli anni in cui spopolavano le riviste pulp e i racconti di Lovecraft e altri mostri sacri del fantastico. Weinbaum, come stile, originalità e capacità di creare mondi fantastici, non è secondo a nessuno, tanto che venne lodato pure da Azimov e da Lovecraft, sebbene la morte prematura abbia impedito l’esplodere di questa stella nascente. Alcuni racconti infatti sono stati pubblicati postumi, non senza qualche aneddoto.

Il volume è preceduto da un’introduzione del critico Gian Filippo Pizzo e si conclude con una nota di Weinbaum stesso in cui espone la sua opinione sulla fantascienza.

Questi i racconti presenti nel volume:

Volo su Titano (Nome originale: “Flight on Titan”, comparso per la prima volta sulla rivista Astounding, numero 1/1935, non era mai stato pubblicato in Italia): Il racconto d’apertura, uno dei più lunghi e, quindi, meglio sviluppati, è un’avventura spaziale su Titano, gelido satellite di Saturno. Siamo nel 2142, l’anno del collasso della Confederazione del Commercio Planetario, causato da una speculazione sfrenata, una crisi che investe anche Timothy Wick e la moglie Diane, i quali, non sapendo come riuscire a campare decidono di andare su Titano per recuperare delle orchidee di fiamma, delle gemme preziose che, rivendendole, avrebbero fatto guadagnare loro parecchi soldi. Il coraggio e lo spirito d’avventura dei protagonisti, disposti a tutto pur di uscire dalla crisi, si scontrano però con le gelide e inospitali condizioni del satellite, popolato da una razza di nativi che camminano strisciando, dagli alberi frusta (gommosi ed elastici) e da strane creature, come gli uccelli-coltello o le formiche di ghiaccio. Un mondo lontano dalla Terra ma che Weinbaum riesce a ricreare con coerenza, dandone al lettore una rappresentazione quasi scientifica e originale.

Gli occhiali di Pigmalione (Nome originale: “Pygmalion’s Spectacles”, comparso per la prima volta sulla rivista Wonder Stories, numero 6/1935, già edito in Italia ma in una raccolta di racconti di autori vari): una storia che risponde all’interrogativo: Cos’è la realtà? E infatti l’intero racconto si sviluppa attorno alla percezione del reale (e del non reale) di Dan Burke che, complice l’invenzione del professor Ludwig, si ritrova a osservare il mondo tramite degli occhiali speciali, in grado di catapultarlo in un altro mondo, diverso dal proprio, con regole proprie (anche strambe) e personaggi autonomi. Agli occhi del lettore moderno, forse questo racconto può apparire un po’ ingenuo, ma è importante ricordare che fu scritto ottant’anni fa, quando molte invenzioni, oggi utilizzate comunemente, erano lungi dall’arrivare.

Questo racconto ricorda quelli del ciclo di van Manderpootz, con un professore geniale quanto bizzarro e un ingenuo e sognatore studente-cavia, che si innamora di una donna bellissima quanto eterea.

L’isola di Proteo (Nome originale: “Proteus Island” comparso postumo sulla rivista Astounding, numero 8/1936). Un interessante racconto d’azione, ambientato ad Austin Island, un’isola a sud della Nuova Zelanda, che mette in scena una perigliosa avventura vissuta dallo zoologo Alan Carver, venuto a contatto con un mondo di flora e fauna sconosciute, a tratti inquietanti. Alberi diversi l’uno dall’altro, canidi e felini che camminano su due zampe e una fanciulla misteriosa che parla un linguaggio sconosciuto portano l’orgoglioso protagonista a chiedersi se le teorie isolazioniste di Darwin non abbiano generato un paradiso perduto, privo di legami con le altre isole.

Il cerchio di Zero (Nome originale: “The Circle of Zero” comparso postumo per la prima volta sulla rivista Thrilling Wonder Stories, numero 8/1936). Un racconto suddiviso in quattro parti, iscrivibile al ciclo di van Manderpootz come idea e come personaggi presenti, infatti vi compaiono un bislacco scienziato, il vecchio de Neant, e uno studente cavia, Jack Anders, ingenuo e sognatore, ma terribilmente attratto dalle potenzialità offerte dalle idee del professore di psicologia. Sono, queste, idee che frantumano la concezione del tempo di Jack, sprofondandolo in un viaggio mentale in un universo dove non esistono più passato, presente e futuro, ma solo un ciclo che, nella concezione di de Neant, è destinato a ripetersi. Così Jack vede paesaggi immaginari, che richiamano certe fantasticherie lovecraftiane, come Termopilis, la Città della Fine, o la donna Pironiva. Un racconto apprezzabile per la forte componente onirica.

Il grafico (Nome originale: “Graph” comparso postumo per la prima volta sulla rivista Fantasy Magazine, numero 9/1936): racconto breve e dal tono leggero, senza infamia e senza lode, tradotto per la prima volta in Italia da Roberto Chiavini.

L’orlo dell’infinito (Nome originale: “The Brink of Infinity” comparso postumo per la prima volta sulla rivista Thrilling Wonder Stories, numero 12/1936): un racconto più per gli appassionati di matematica e logica, che non per il comune lettore che può annoiarsi in mezzo a quel continuo discutere di formule. C’è un aneddoto dietro la realizzazione di questa storia che, pare sia stata scritta da Weinbaum per esclusivo divertimento della moglie, non per la pubblicazione (in quanto passibile di plagio). Il testo è infatti una ripresentazione dei fatti del racconto The Tenth Question di George Allan England, ma la moglie per errore lo consegnò ai redattori di Thrilling Wonder e finì per essere pubblicato.

Il dittatore (Nome originale: “Revolution of 1950” comparso postumo per la prima volta sulla rivista Amazing, numero 10-11/1938): un racconto lungo (o romanzo breve) che oggi definiremmo distopico, ambientato in un futuro recente (gli anni Sessanta) in cui gli Stati Uniti da democrazia sono diventati una pericolosa tirannia guidata dal presidente Steel Jeffers. Al suo fianco il grifagno e barbuto Segretario di Stato, James Dougherty, l’ammiraglio Southworth e il dottor Vierecke, depositari di un segreto chiave per mantenere salda la politica presidenziale. Spetta al coraggioso e intraprendente tenente Jack Adams, segretamente uno dei patrioti che combattono per la libertà della nazione, imbastire un piano per sbarazzarsi della tirannia e tornare a essere la gloriosa repubblica americana.
Un’avventura dal ritmo incalzante, in cui Weinbaum non solo avverte sulle conseguenze di un accentramento di poteri (in un’epoca, gli anni Trenta, in cui molte nazioni stavano sprofondando nel totalitarismo), ma ci ricorda che con la devozione alla causa e molto buon senso anche le più impervie difficoltà possono essere superate.

Segue il ciclo dello scienziato pazzo Haskel van Manderpootz (un mad doctor che, però, nell’ottica di Weinbaum non è cattivo bensì eccentrico, un po’ strambo), che ricorda, agli appassionati del genere, il Doc dei film “Ritorno al Futuro”, un simpatico scienziato tronfio ideatore di genialità usate in maniera dannosa e imprevedibile. In ogni racconto, narrato in prima persona dal protagonista, Dixon Wells (rampollo della N. J. Wells Corporation, Ingegneri Straordinari, perennemente in ritardo), assistiamo a uno sconvolgente esperimento messo in atto dal professor van Manderpootz, che crea invenzioni, a sentir lui, degne di essere ricordate negli annali, come il suo ipotevisore, che mostra cosa sarebbe successo se avessimo fatto scelte diverse, oppure il suo idealizzatore, che mostra i pensieri ideali di chi lo prova, o infine il rilevatore di propensione individuale, che permette a chi lo indossa di adottare il punto di vista di un altro. Racconti leggeri, in cui, tra inorgoglite dichiarazioni di sapienza del professore e le sventurate avventure di Dixon, che si ritrova sempre a innamorarsi della ragazza sbagliata, il lieto fine è garantito.

Nello specifico, i tre racconti sono:
1) I mondi del se (Nome originale: “The Worlds of If” comparso per la prima volta sulla rivista Wonder Stories, numero 8/1935)
2) L’ideale (Nome originale: “The Ideal” comparso per la prima volta sulla rivista Wonder Stories, numero 9/1935)
3) Il punto di vista (Nome originale: “The Point of View” comparso postumo per la prima volta sulla rivista Wonder Stories, numero 1/1936): prima traduzione italiana, da parte di Roberto Chiavini, che ha spinto i curatori a inserire anche i due precedenti, già noti in Italia, per avere la trilogia raccolta in un solo volume.

Infine Il verde bagliore della morte (Nome originale: “Green Glow of Death” comparso per la prima volta sulla rivista Crack Detective and Mystery Stories, numero 7/1957): a differenza degli altri, questo non è un racconto di fantascienza bensì un giallo, in cui l’assicuratore Bill Ketchall si ritrova a indagare sul furto di uno smeraldo per conto della propria compagnia. Uno sviluppo un po’ ingenuo e scontato ma apprezzabile il tentativo di cimentarsi con un genere diverso.

In appendice un extra di Weinbaum stesso:

Io e la fantascienza (in originale: An Autobiographical Sketch of Stanley G. Weinbaum): un articolo apparso su Fantasy Magazine nel giugno 1935 in cui l’autore espone il proprio punto di vista sulla fantascienza. Secondo Weinbaum, la fantascienza non ha limiti (a differenza delle storie d’amore o western): “può criticare condizioni sociali, morali, tecnologiche, politiche o intellettuali”, “è un’arma per scrittori intelligenti”. Lui, la sua, di certo l’ha usata per regalarci pagine indimenticabili.

Considerazioni:

Lo stile di Weinbaum è fresco, semplice, diretto, molto americano, alla Hemingway. Non si perde in discorsi complicati (tranne nei pomposi deliri del professor van Manderpootz, ma questi sono ben studiati per dare spessore al simpatico personaggio!) o in paroloni assurdi, preferendo un linguaggio più concreto. L’azione, la concitazione del ritmo, il senso dell’avventura, del fantastico e del meraviglioso sono preferiti rispetto alla psicologia del personaggi (molto semplice, in verità) o a qualsiasi tentativo di introspezione. C’è una dicotomia piuttosto marcata tra personaggi postivi (eroici o vinti) e personaggi negativi, ossia i cattivi. La traduzione è buona e il testo è scorrevole.

L’antologia “Volo su Titano” offre un bell’esempio di come gli scrittori americani degli anni Trenta intendessero la fantascienza, non necessariamente e non soltanto viaggi spaziali ma anche la capacità di creare mondi fantastici, diversi e lontani dall’ordinario, evasioni mentali, futuri ipotetici, invenzioni imprevedibili in grado di scardinare l’equilibrato vivere di ogni giorno. Certo, al lettore moderno, abituato (e forse esasperato) dall’eccessiva invasività della tecnologia, alcune “invenzioni” forse non sembreranno tali, e anche alcune idee narrative appariranno ingenue, forse superate da scrittori Novecenteschi o del nuovi millennio, ma è importante ricordare che questi racconti furono scritti negli anni Trenta, quando non soltanto la tecnologia non era quella di oggi, ma anche la stessa concezione di fantascienza si stava formando (per non parlare della letteratura di evasione). 

Fatta questa premessa, risultano apprezzabili i tentativi di Weinbaum di ritagliarsi il proprio spazio in un momento di grande affollamento di scrittori (americani) che stavano virando, o emergendo, nel settore fantastico. Con uno stile fresco e curato, parole semplici ma ben scelte, il giovane scrittore riesce a regalare al lettore viaggi gratuiti in altri mondi, sia l’inospitale satellite di Saturno, siano le isole dell’Oceania o gli universi atemporali del vecchio de Neant. Questo senza considerare l’interesse nel leggere come un autore degli anni Trenta immaginava il suo futuro, ovvero il nostro presente.

Per avere una copia del libro si può scrivere a fratinieditore@gmail.com

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