PRIMAVERA DI LIBRI - VALENTINA CAPALDI
Dopo la piccola pausa di ieri, dedicata a Nonna Dora e a tutte le donne che, come lei, continuano a combattere, oggi riprendono le interviste regolari del Calibrario della Primavera che ha il piacere di ospitare Valentina Capaldi, giovane scrittrice già segnalata su questo blog. Il suo ultimo romanzo, "Dopo cinquecento anni", edito da Watson Edizioni, mescola infatti storia, mitologia e tanta fantasia per regalare al lettore un'avventura attraverso il tempo, e lo spazio. Scopriamo qualcosa di più su l'autrice in questa intervista esclusiva! :)
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INTERVISTA
A VALENTINA CAPALDI
Ciao
Valentina,
parlaci
un po’ di te. Quali sono i tuoi interessi, le tue passioni?
Ciao e grazie per questo
spazio.
Amo dedicarmi a tutto ciò
che fa cultura; non solo letteratura, ma anche arte e musica.
In primis, leggo tantissimo
e scrivo.
Negli ultimi anni mi sono
orientata verso la promozione degli scrittori emergenti italiani, perciò
diciamo che un buon 60/70% dei libri che leggo appartengono a questa categoria.
Gestisco un blog dove cerco di dare visibilità a quello che io ritengo
meritevole, e ce n’è di roba buona, nonostante i pregiudizi che circolano sui
romanzi italiani, soprattutto fantasy.
Poi nel tempo libero
(sempre meno) suono il sassofono e, siccome non so tenere ferme le mani,
pasticcio con l’argilla e le paste polimeriche.
Com’è
stato, e com’è tutt’oggi, il tuo approccio alla scrittura? Perché scrivi? Per
piacere, per passione, per lavoro? Verso quali generi, o quali tipi di storie,
sei orientata?
Io scrivo perché ho delle
storie da raccontare, in primo luogo a me stessa. Per me vale la regola “scrivi
il libro che vorresti leggere”. Perciò il genere di storie che scrivo sono
quelle che piacciono a me, quelle che ho bisogno di vedere stampate su carta.
La scrittura è, quindi,
una passione e una necessità. A volte, però, scrivo anche per lavoro (in ambito
giuridico prima di tutto, e poi sono da poco partita con l’attività di editor).
Sono generalmente
orientata verso il genere fantasy, o almeno lo sono stata fino a ora.
Il motivo, semplicissimo,
è che non mi sono mai sentita abbastanza esperta per scrivere della realtà e il
fantasy mi dà più libertà di movimento (anche se non invento tutto di sana
pianta. Per il fantasy ci vuole una mole non indifferente di documentazione).
Il mese scorso però ho
cominciato a scrivere un romanzo più realistico. Vedremo se sarà una mosca
bianca.
Cosa
ne pensi della distinzione di “generi”. Sei un tipo piuttosto settoriale al
riguardo o ti piace sperimentare, spaziare anche da un genere all’altro,
lasciando la penna libera di scrivere ciò che vuole?
Conosco e studio le
differenze di genere della letteratura fantastica perché mi serve per il mio
lavoro di editor, ma nella scrittura non sono affatto settoriale, infatti di
solito ho difficoltà a definire il genere dei miei romanzi che, bene o male,
sono tutti dei crossover. Prendi “Dopo cinquecento
anni”. È un fantasy storico nella prima metà e un non-so-cosa nella seconda.
A volte sento persone
dire che il fantasy deve essere canonico, perché il lettore si aspetta di
trovarci dentro determinate cose, ma non sono d’accordo. Per me l’intersezione
dei generi è molto più interessante, perché permette all’autore di esprimersi
in maniera più approfondita e al lettore di trovare spunti e idee più
originali.
Come
è nato il tuo ultimo romanzo, “Dopo cinquecento anni”? Cosa volevi raccontare?
“Dopo cinquecento anni” è
nato da un’idea che mi è venuta un giorno, una delle questioni “cosa
succederebbe se” che costruiscono la letteratura. Cosa succederebbe se una
bambina venisse cresciuta da un demone? All’inizio era un
racconto costituito solo dalla seconda parte del romanzo (molto più breve, per
altro), ma poi l’idea di questi personaggi che se ne vanno a spasso nella
storia mi è piaciuta talmente tanto che ho voluto approfondire.
Trovavo interessante,
poi, che il protagonista fosse un cattivo, un anti-eroe. Non è che volessi
raccontare qualcosa di particolare (non metto mai una morale nei romanzi) ma la
storia era buona e meritava di venire scritta.
Una
particolarità di “Dopo cinquecento anni” è che il romanzo spazia sia nel tempo
ma anche proprio nello spazio. È stato divertente scrivere capitoli ambientati
in epoche e luoghi diversi? Hai svolto delle ricerche (se sì, di che tipo, come
ti sei mossa?) per documentarti al riguardo?
Ho svolto tantissime
ricerche! Dato che il romanzo parte
nel 1508 ho dovuto capire innanzitutto come fosse l’Europa rinascimentale, e
qui ho attinto dalle mie conoscenze, dai libri di storia e da Internet. Non
sono stata molto precisa nella collocazione spaziale (le città in cui i
personaggi si trovano non vengono mai nominate) per evitare ricerche troppo
approfondite, ma ho tentato comunque di rendere l’ambientazione credibile.
La cosa è stata un po’
diversa per la parte che si svolge in America Latina, tra i Mexicas (gli
Atzechi). Ho seguito pedissequamente un libro scritto da uno storico del 1800,
il signor William Prescott, che fece una ricostruzione incredibile della
società dei Mexicas e del viaggio di Cortés. È merito suo se sono riuscita a
inserire tanti dettagli.
Una
curiosità: come scegli i nomi per i tuoi personaggi? Puro gusto personale? Hanno
qualche significato? Ti ispiri a qualche fonte?
Tre parole: fantasy name generator. Si tratta di
generatori che si trovano in Internet, comodissimi. Tanto i nomi di solito non
devono avere un significato particolare, solo il suono adeguato
all’ambientazione. Questo perché quando un bambino nasce non riceve già dai
suoi genitori un nome che si sposi con quello che diventerà in futuro; il
signor Thorin Scudodiquercia non è nato Scudodiquercia, lo è diventato in
seguito. Però è importante la
coerenza con l’ambientazione. Tighe, per esempio, mi pare fosse un nome
celtico, mentre per gli indios dell’America Latina ho ricercato nomi utilizzati
in quelle zone.
Generi
e attualità: spesso, una certa critica miope (tutta italiana) accusa la
letteratura di genere di essere puro edonismo, eppure è possibile servirsene
per affrontare temi attuali e scottanti (qualche esempio? La prostituzione, la
violenza sulle donne, gli abusi sui minori, il tema del diverso e quant’altro).
Cosa ne pensi al riguardo?
A volte sì, è edonistica,
ma va bene anche così. Però non è sempre vero, anzi, nella maggior parte dei
casi non lo è. La fantascienza non è mai
stata puro edonismo, tanto per dire. Senza andare a scomodare Asimov e Dick,
penso a un romanzo che ho letto ultimamente, “The windup girl” di Paolo
Bacigalupi, che tratta il tema etico della biogenetica. Per quanto riguarda il
fantasy, ci sono fior fiore di studi sul senso nascosto ne “Il signore degli
anelli”, e lo stesso Tolkien non lo ha scritto certo in due giorni solo per soddisfare
il suo ego.
Anche se vado un po’ off topic, vorrei dire che quello che le
persone non capiscono (a volte non lo capiscono neanche gli scrittori, creando
così un danno d’immagine anche a quelli che invece lo sanno) è che la
letteratura di genere, soprattutto il fantasy, non viene scritto e non deve
essere scritto giusto perché è più facile (m’invento quello che voglio). Al di
là dei temi che si possono trattare (e io credo che già approfondire un tipo di
relazione tra personaggi possa rendere un romanzo interessante) bisogna tener
conto della sospensione dell’incredulità. Coerenza,
ambientazione, verosimiglianza.
Per tornare alla domanda,
leggendola mi viene in mente che anche io ho scritto, per esempio, sul tema del
diverso nella trilogia incompiuta (perché manca ancora il capitolo 3) di “Elfo
per metà”, che trattava il dramma (se così vogliamo metterla) di un mezzo elfo
che non era ben accetto né dagli elfi né dagli umani. E ho trattato il tema
della collaborazione tra popoli ne “Il segreto dell’ambasciatore” (questo lo
dico per puro marketing. Siccome è il mio romanzo più bello, se volete lo
trovate su Amazon). Sai, il punto è che a
volte il tema “etico” o “sociale” è anche un buono spunto attorno al quale
costruire una storia che non sia solo la banale lotta tra bene e male.
In
Italia ci sono più scrittori che lettori, e non è un modo di dire ma realtà.
Lasciando da parte i problemi, cosa consiglieresti per uscire da questa
situazione critica? Un’idea, una ricetta primaverile per incentivare la
lettura, quale potrebbe essere secondo te?
L’altro giorno ho letto
non so dove la proposta di allegare ai libri un preservativo per incrementare
le vendite. Ora, a parte che non
capisco la relazione tra le due cose (i libri sono afrodisiaci?) mi pare una
gran sciocchezza inventare espedienti per incentivare la lettura, come per
esempio i “libri distillati”.
Una persona ama leggere
oppure no, non c’è via di mezzo. Bisognerebbe fare molto
più lavoro sui bambini, a casa e nelle scuole, ma se uno non ha la passione non
gliela si può inculcare.
A me non verrà mai la
passione per il polo, per esempio, ma c’è gente che ne va matta.
Il problema serio sono
quelli che scrivono senza leggere (e sono tanti, credimi). Scrivere senza
leggere è impossibile. Un editor appena uscito dall’università si accorge
subito di uno scrittore che non legge, perché fa errori che altrimenti
sarebbero impensabili.
Di solito questi
“scrittori” vanno a finire nel mare
magnum dell’autopubblicazione o dell’editoria a pagamento, intasando il
mercato di schifezze che sarebbero evitabili semplicemente con un po’ di
passione e di studio. Loro sono quelli che scrivono per puro edonismo, non chi
fa letteratura di genere.
Una
domanda finale a bruciapelo: qual è il tuo libro? Il libro che senti tuo, che
ti descrive meglio e che vorresti consigliare ai lettori?
Non lo so, questa domanda
è difficile! Ce ne sono veramente
tanti che sento miei a seconda dei diversi periodi della vita, quindi se volevi
una risposta concisa non posso dartela.
Posso dirti qual è il
libro che mi è piaciuto di più l’anno scorso: “Il vangelo secondo Biff” di
Christopher Moore. Non ho mai riso e pianto tanto in una volta sola.
Grazie
per essere stata ospite del blog “I mondi fantastici”.
Se volete scoprire qualcosa di più su Valentina Capaldi e i suoi lavori, vi rimando al sito della scrittrice.
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