PRIMAVERA DI LIBRI - LUCA SIMIONI
Oggi il Calibrario della Primavera ospita Luca Simioni, autore del romanzo fantasy "La legge dell'oblio", già segnalato e recensito sul blog nel 2015 (qui per chi se lo fosse perso). Si tratta di un bel romanzo fantastico autoconclusivo (per la gioia di chi teme le saghe infinite!) dalla particolare ambientazione desertica. Ecco la quarta di copertina, che ci introduce all'ambiente dei Wadi: "Gli uomini non conoscono più il deserto, per secoli gli
occhi rossi degli wadi l'hanno sorvegliato per loro dall'alto delle
torri. Oggi ne hanno paura, perché i predoni si sono fatti più temerari:
qualcosa sta accadendo oltre le distese di sabbia bianca, ed è giunto
il momento di scoprire cosa. Chiamato alla missione, Mado saluta la
propria comunità-torre per un viaggio dall'esito incerto insieme a
compagni che non si è scelto, e i suoi occhi di wadi saranno testimoni
dei terribili miracoli di una magia dimenticata e della sorte di
rinnegati sanguinari. Mentre macchine e armi straordinarie avanzano per combattere l'impero,
Mado sarà impegnato a difendere la sua famiglia e la sua gente, ma l'attacco più grave è quello che ne sta minando le certezze, dopo
quanto visto nel deserto: una blasfema minaccia per il dominio degli
uomini, miracolosamente sfuggita alla legge dell'oblio."
INTERVISTA A LUCA SIMIONI
Ciao Luca,
parlaci un po’ di te. Quali sono i tuoi interessi, le tue
passioni?
“Colleziono spore, muffe e
funghi” cit. I miei interessi, invece, sono un tantino più comuni. Da bambino
avevo in casa l’enciclopedia del XX secolo, otto tomi illustrati che
ripercorrevano tutta la Storia del Novecento. Le foto dei primi carri armati e
delle trincee hanno acceso una passione per la Storia contemporanea che mi
accompagna ancora adesso. Poi c’è la musica, adoro i sintetizzatori e gli
effetti vocali. Negli ultimi anni, poi, poche cose mi rilassano come preparare
il pane e la pizza in casa. “Affrontare” l’impasto a mani nude e sperimentare
dosaggi e farine nuove…
Com’è stato, e com’è tutt’oggi, il tuo approccio alla
scrittura? Perché scrivi? Per piacere, per passione, per lavoro? Verso quali
generi, o quali tipi di storie, sei orientato?
Non sono tra gli eletti che si guadagnano da vivere scrivendo. Quand’è
nata mia figlia ho dovuto rinunciare al volontariato transnazionale che, in
precedenza, occupava quasi tutto il mio tempo libero. Mi sono accorto che
quella sorta di secondo lavoro gratuito era un modo per esprimermi, così ho
cercato un’altra strada per esternare ciò che avevo da dire. Ho colto
l’occasione per riscoprire una passione
abbandonata tanti anni prima.
Scrivo perché ho qualcosa da dire, da raccontare e, soprattutto, da
condividere.
Il fantasy, il surreale e la
fantascienza mi permettono di costruire allegorie del mondo attuale o di certi
meccanismi storici. Mi piace nascondere la satira sociale dietro una battuta
demenziale o dietro un’ambientazione lontanissima dalla realtà. Il racconto
fantastico permette di resettare il mondo e dipingere una storia su uno sfondo
completamente nuovo. Se parlassi della attualità in maniera diretta dovrei
farlo sotto forma d’inchiesta, citando nomi e fatti in maniera circostanziata.
La letteratura, invece, aggiunge la magia, quasi un messaggio subliminale, poi
sta al lettore lasciarsi toccare dalle parole.
Se tu dovessi scegliere il
romanzo della tua vita, qual è?
Credo i “Ragazzi della via Pal”,
il primo romanzo che ho letto in tre giorni, quello che mi ha regalato il vero
piacere della lettura. Il primo intrattenimento su pagina a rivaleggiare col
mostro catodico che riempiva le giornate in casa dei miei.
Passiamo ai tuoi lavori. “La
legge dell’oblio” è il tuo primo romanzo fantasy. Come è nato? Cosa volevi comunicare
al lettore? Puoi indicarci, se ci sono state, qualche fonte di ispirazione
(libri, film, ricerche storiche o quant’altro)?
Il mio primo romanzo fantasy, il secondo in assoluto. "La legge
dell’oblio" prende le mosse da un racconto che ho scritto per “I mondi del
fantasy” edito da Limana Umanita. Già allora ho preso spunto dalla condizione
dei serbo-croati all’interno dell’impero Asburgico. Ne La legge dell’oblio ho
approfondito la cosa, ricreando la strategia, vecchia come il mondo, del “divide
et impera”. Mi piaceva l’idea di usare un’ambientazione fantastica, per quanto
ispirata alla realtà, per affrontare argomenti che da sempre mi stanno a cuore.
Il controllo delle masse mediante la manipolazione della memoria o la
costruzione statale attraverso l’invenzione di un mito fondante, per non
parlare del peso della religione e di tutto l’insieme di credenze e consuetudini
comuni, sono l’impalcatura stessa del libro. Naturalmente non intendo dare
lezioni, ma rendere palesi una serie di meccanismi che da secoli reggono non
solo il rapporto tra gli Stati, ma anche quelli tra cittadini e governanti.
Tutto questo cercando di scrivere una storia il più possibile avvincente e non
un manuale di Storia. I debiti culturali, poi, si
nascondono nei dettagli, come ad esempio l’idea di un fucile utilizzabile tanto
come arma da fuoco quanto come una specie di mazza, mi è venuta da “L’ultimo
dei Mohicani”.
L’ambientazione desertica evoca,
in effetti, l’idea di oblio, di perdita, di smarrimento. Come entrano invece
gli elementi steampunk in questo mondo quasi arcaico? Avevi già in mente
dall’inizio di inserire una componente di questo tipo o è stata un’idea che si
è sviluppata in corso d’opera?
All’inizio volevo solo evitare di
ricalcare l’eterno medioevo dell’epic fantasy. Così ho pensato ad un epoca in
bilico fra tradizione e progresso. I fucili
e i carri a vapore appaiono fin dall’inizio, assieme a creature volanti
che sono tali non per natura, ma per volere di esseri senzienti. Il libro è ambientato in una sorta di XIX
secolo impazzito, governato da pulsioni umane e dove a ciò che resta della
magia si affianca una tecnologia capace di motori a scoppio, ma anche di
elettricità e macchine volanti. Pur non avendo mai letto un romanzo steampunk,
sono affascinato dalle potenzialità dei pasticci temporali e tecnici per creare
nuove storie. Quale regno non farebbe carte false per possedere una fortezza
volante, mentre gli altri si spostano ancora a cavallo o al massimo col treno?
Magari un mondo senza gomma e plastica, ma con altri materiali dalle proprietà
sorprendenti.
Per i Wadi, alla fine, l’oblio è un dolce sollievo o una
condanna?
Può essere entrambe le cose. A volte non conoscere la verità o essere
dimenticati è una consolazione. Vivere pensando che la realtà in cui siamo
immersi è immutabile, ignorando l’atto di violenza che l’ha generata, serve a mantenere
l’ordine. L’Oblio, di contro, può essere la pena cui viene condannata un’idea,
o un’intera civiltà perdente. Un nemico di cui non deve restare nemmeno il
ricordo, affinché non ci assalga il dubbio di non aver avuto completamente
ragione nella passata contesa.
"La legge dell’oblio" potrebbe
essere semplicemente una traduzione di quella che ormai è una frase fatta,
secondo cui “la storia la scrivono i vincitori”. Questo genere di oblio è un
modo per non confrontarsi, per non giungere ad una visione condivisa della
Storia, una dimenticanza che supplisce a delle vere scelte come possono essere
il perdono, la condanna o il conflitto aperto. L’oblio, la cancellazione del
pensiero divergente o versione alternativa dei fatti, rafforza la sicurezza di
essere nel giusto. Nel caso degli wadi è la dimenticanza di un passato che
potrebbe condurli alla rivolta.
Generi e attualità: spesso, una certa critica miope (tutta
italiana) accusa la letteratura di genere di essere puro edonismo, eppure, come
dimostra “La legge dell’oblio”, è possibile servirsene per affrontare temi impegnativi,
anche di attualità. Cosa ne pensi al riguardo?
Credo non esista un genere letterario immune all’edonismo. Al tempo
stesso, però, ritengo sia possibile affrontare temi impegnativi a prescindere
dal genere letterario. Già R. Bradbury diceva che la fantascienza era una lente
deformante con cui vedere la realtà, non dico nulla di nuovo. Non mi va di criticare il lavoro
altrui, ma si può sostenere che una certa sottoletteratura fantasy sia popolata
di plagi e scopiazzature più o meno evidenti e che certe storie siano un puro
esercizio di fantasia. Ma ho l’impressione che chi attribuisce questa stortura
al solo fantasy non entri in una libreria da parecchio tempo.
Personalmente ritengo che ogni libro sia un viaggio, in un
mondo fantastico (reale o fiabesco che sia). Ma può essere anche un viaggio
dentro noi stessi? La letteratura (nel senso più ampio) può insegnare qualcosa?
Può aiutare le persone (chi scrive e chi legge) a sentirsi meno soli?
Ho scritto il mio primo romanzo ("E ora, con l’aiuto del sole", editrice
El squero 2014) approfittando di un lungo periodo di cassa integrazione. Ne è
uscito un romanzo tragi-comico in cui si raccontano non solo le vicende di uno
stabilimento in crisi, ma anche le incongruenze del nostro modello di sviluppo.
La stesura di questo lavoro è stata quasi terapeutica, aiutandomi a impiegare
l’improvviso surplus di tempo libero e a non farmi prendere dallo sconforto.
Sia nel primo che in "La legge dell’oblio" ci sono riflessioni personali
e degli aspetti autobiografici che si infilano tra le righe, quasi ad insaputa
dell’autore. Un romanzo aiuta a portare in superficie aspetti del proprio
carattere che si negano a se stessi.
Se la letteratura può insegnare
qualcosa? In un’unica pagina di un
romanzo può condensarsi un trattato di psicologia o un saggio storico, la
letteratura ha il dono della sintesi, distilla concetti saltando le lungaggini
della dissertazione, per giungere al punto con parole che ti restano dentro.
In Italia ci sono più scrittori
che lettori, e non è un modo di dire ma realtà. Lasciando da parte i problemi,
cosa consiglieresti per uscire da questa situazione critica? Un’idea, una
ricetta “primaverile” per incentivare la lettura, quale potrebbe essere secondo
te?
Il problema non è che siamo in troppi a scrivere, per male che vada
facciamo da argine all’analfabetismo di ritorno, ma troppo pochi a leggere. Il
sottobosco letterario degli eterni “emergenti” diventa un club autistico dove
nessuno legge nessuno, perché siamo troppo impegnati a scriverci addosso. Io
stesso, avendo un lavoro a tempo pieno e una famiglia, nei periodi in cui
scrivo molto quasi non riesco a leggere. Il problema principale, però, non sono
i lettori-scrittori, ma i non lettori assoluti. La lettura andrebbe promossa fin
dall’infanzia (vedi “nati per leggere” di cui sono lettore volontario), bisogna
riscoprire le biblioteche, mentre molti
insegnanti ed educatori sembrano rifuggirle. A volte mi chiedo: chi ha
interesse ad affossare la lettura?
Progetti per il futuro? Puoi
anticiparci qualcosa?
Mi sto apprestando a cambiare
ancora genere. Due romanzi molto corposi scritti uno appresso all’altro
richiedono un po’ di decantazione. Al momento mi sto divertendo a tracciare dei
profili psicologici demenziali dei vecchi personaggi dei cartoni animati, con
l’intento di farne una piccola pubblicazione d’evasione. Nel lungo termine miro
al romanzo storico o al fantasy storico. Un lavoro che vorrei affrontare senza
fretta, prendendomi tutto il tempo per una ricerca accurata, mettendo a
“bollire” le mie due grandi passioni in un unico calderone.
Grazie per essere stato ospite del blog “I mondi
fantastici”.
Se volete seguire Luca Simioni, questa è la sua pagina Facebook.
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