DENTRO UN LIBRO: "NESSUN CACTUS DA QUESTE PARTI"
Nuovo appuntamento con la rubrica "Dentro un libro", che ha una cadenza periodica, ossia quando ne ho voglia! Oggi scopriremo le citazioni di film, libri e canzoni presenti nel romanzo "Nessun cactus da queste parti", di Mirko Tondi, un noir ambientato in un futuro distopico ad alto tasso di plasticità (qua l'articolo di presentazione). Una nota: di citazioni questo libro è strapieno, per cui potrei averne saltata qualcuna! Oltre a libri, film e canzoni, sono citati personaggi celebri, gruppi musicali, eventi storici e quant'altro, dato che il romanzo si svolge in epoche diverse. Se siete incuriositi, lo trovate su tutti gli store di libri, fresco di stampa! ;)
Cominciai a prendere la cosa più seriamente di quanto avessi fatto fino ad allora. Strano non significava impossibile. Al massimo improbabile, qualcosa che potevo aver letto in vecchi racconti di Maupassant, di Poe o di Conan Doyle. No, non me ne sarei lavato le mani come gli altri investigatori di Porto Rens; al contrario, avrei accettato il caso, adesso ne ero certo.
Insomma, Porto Rens era, in tutto e per tutto, una moderna Gotham, la caricatura di una degradata metropoli inesistente. Si chiamava così, la città, dopo essersi chiamata soltanto Rens, e prima ancora Kalver e prima ancora New Orleans.
Una volta l'unico boss che esisteva era Bruce Springsteen. Adesso il suo corpo giaceva mummificato al MUR, Museo Universale del Rock, l'unico luogo rimasto al mondo a raccogliere i cimeli di rockeggianti artisti del passato, a New Ork (la Y venne tolta dal nome quando un rappresentante della razza Ork, un action figure di Warhammer 40000 portato in vita grazie a un esperimento di biogenetica applicata ai giochi da tavolo, conquistò la città da solo e spadroneggiò per diversi decenni; la leggenda narra che a ucciderlo fu un carrarmatino del Risiko rimastogli in gola). Potevi stringere la mano al cadavere mummificato di Springsteen per soli due donuts e settantacinque.
A Porto Rens spopolavano band che erano imitazioni di pessime imitazioni di gruppi grandiosi o anche imitazioni di cover e tribute band di gruppi grandiosi (ce n'era una, per esempio, che riproponeva i Genesis seconda maniera, quando in realtà non c'era stato nemmeno il bisogno degli originali, dopo che Peter Gabriel se n'era andato), ed ecco che una sera si esibivano i Beagles oppure i White Sneakers, ma tutto quello che sapevano cantare erano testi storpiati al pari dei loro nomi.
Avevo soltanto bisogno delle mie bottiglie, le mie candide amanti dal collo allungato, come le donne nei dipinti di Modigliani. Ah, se avessi potuto vedere uno di quei dipinti dal vivo sarei stato l'essere più felice della Terra!, ma tutti i musei erano stati svuotati dalle razzie del 2043 [...] così ora potevi trovare un Van Gogh appeso nella stanzetta fatiscente di un qualsiasi Mario o Jack, oppure un Caravaggio sulla parete a motivi floreali di una casalinga cinquantenne di nome Dolores.
L'idea era stata quantomai romantica: scrivere a macchina, su una vecchia Underwood, insomma una di quelle che avevano usato tipi come Hemingway o Fitzgerald o Faulkner, voglio dire, tutta gente che con l'alcol ci andava giù duro (Faulkner non mi stava mica tanto simpatico, per via di tutti quei punti di vista che ti confondevano la vita da lettore, ma insomma c'era anche lui a usare una di quelle belle macchinette).
John O'Brien aveva scritto in Via da Las Vegas che "Il lavandino è il posto ideale per vomitare", ed ero d'accordo. Però il suo Ben non doveva avere a che fare con un lavandino che crollava ogni volta che ci appoggiava i gomiti! Ecco fatto, quindi dovevo servirmi del meno elegante cesso.
Eri una specie di fantasma, diciamo. Il che non era nemmeno male ma, diciamocelo pure, sarebbe stato di gran lunga più divertente se tu avessi potuto fare due chiacchiere col signor Alfred Hitchcock o, che ne so, stringere la mano a Gandhi o, ancora meglio, inchinarti di fronte al vecchio William Shakespeare!
La cassetta del Boss era uno dei tesori più preziosi che avessi. Darkness on the edge of town, per l'esattezza. Avevo venduto tutti i miei vinili e mi rimaneva questa, niente di più. Al momento non avevo nemmeno con che ascoltarla, al massimo sarei tornato dal giapponesino e da lui non avrei avuto problemi a trovare uno stereo, che ci voleva.
Non feci in tempo a finire la frase che sentii il tamburellare delle bacchette sulla batteria; giusto qualche colpetto per dare il ritmo e partì una tromba a intonare qualcosa che assomigliava al jazz. Quando si unirono il sassofono, il piano e il contrabbasso, fui certo che si trattava di vero jazz, un quintetto in piena regola, oh sì, l'avevo sentito solo nei vinili che avevo prima di venderli al vecchio Al, o in qualche musicassetta dal nastro rovinato, ma adesso era lì, era roba alla Miles David e alla John Coltrane, o alla Chet Baker e alla Charlie Parker, o forse poteva essere roba alla Dizzy Gillespie e alla Sonny Rollins, non lo so, ma era, in tutto e per tutto, un maledetto, tossico, sfolgorante jazz. Bellissimo!
E poi ancora tante altre citazioni, Tom & Jerry, James Ellroy, addirittura l'Ikea (!), Blade Runner, il robottino Wall-E, Django, Serpico, Moby Dick, lo Schiaccianoci, il Commodore 64, Michael Douglas in Wall Street, la DeLorean di Doc e Marty McFly, Hitler, Napoleone, Dirty Dancing, Francis Bacon e via dicendo. E voi ne avete trovate altre? Segnatele pure qui sotto, oppure (ri)tuffatevi nella lettura di "Nessun cactus da queste parti" per scoprire quali altri simboli del Ventesimo secolo (e precedenti) vengono ancora ricordati, e quindi citati, dal drago di Porto Rens nel 2116! ;)
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