TRA LE SPIGHE D'AMARENA - CLARA BARTOLETTI
Avevo già segnalato questo romanzo qualche settimana fa, incuriosito dal titolo e anche dalla trama, in quanto la storia si svolge (in parte) in Versilia. Finalmente ho potuto leggerlo e apprezzarlo e si è rivelato un'inaspettata, piacevole e coinvolgente storia che ho divorato in un paio di giorni, travolto dallo stile incalzante e fluido della narrazione, dal susseguirsi degli eventi e intrigato dalla storia personale del protagonista e degli altri personaggi che gli ruotano attorno, in un'avventura che è un pò come un diario. Di sé e di coloro che gli stanno attorno.
Ma partiamo dall'inizio, proprio dall'incipit del romanzo:
"Ricordo esattamente il momento in cui il capo redattore entrò nel mio angusto ufficio con una cartellina rossa in mano e mi apostrofò senza alcun preambolo, invitandomi ad ascoltarlo mettendo da parte quello che stavo facendo. Il burbero Merini, che assomigliava a un tronco di baobab, sproporzionato nel corpo e dalla capigliatura riccia e svolazzante, turbinò avanti le mani, sventagliando la cartellina e indicando nel frattempo di sedermi."L'economita ti ha scelto. Non chiedermi come né il perché, ci devi pensare tu".
E così inizia l'avventura e il viaggio di Pinin, ex poliziotto e attualmente giornalista di cronaca nera a Roma. Un'avventura che lo porterà in giro per l'Italia, in particolare in Versilia, e oltre, e un viaggio che, come scopriamo leggendo, non è soltanto un viaggio attraverso paesi e città, ma un viaggio attraverso storie, affetti ed emozioni, sia della famiglia Bonci che personali. Infatti l'obiettivo di Pinin è quello di ritrovare Leon, fratello dell'economista Nico Bonci, scomparso trent'anni addietro. Il ragazzo, solitario e introverso, era infatti affetto da una forma particolare di autismo, la sindrome di Asperger, parlava poco, quasi mai, e viveva in un mondo tutto suo. Eppure, da quel mondo Leon a volte usciva, come scoprirà Pinin cammin facendo, per parlare con l'amica Zoe, con cui divideva addirittura un diario (un momento interessante per capire i suoi pensieri e il suo modo di approcciarsi agli altri, considerati da lui "strani").
Durante il viaggio alla ricerca di Leon, Pinin ha modo di ripensare alla sua vita, complice anche i singolari compagni che si porta dietro: le anime dei morti. Eh sì, perché questo romanzo abbraccia più generi o forse potremmo dire che va oltre i generi, perché è un thriller, con aspetti paranormali e altri intimistici, quasi psicologici, che, a mio parere, costituiscono il punto di forza della narrazione. L'autrice dedica infatti molto spazio a indagare la psicologia di Pinin, scavando nei suoi ricordi e ricreando l'immagine della sua gioventù e adolescenza e di tutte le figure che gli sono state accanto, in particolare mamma e nonna, ma anche la Zia Cloe, la signora Liberati, l'arcidiacono, fino ad arrivare a tempi recenti al burbero Merini e Camilla e alla vicina di casa Maddalena. Tutti personaggi a tutto tondo, caratterizzati con poche efficaci battute e una grande attenzione al loro modo di essere, e di porsi nei confronti di Pinin. Figure gloriose e eroiche, come quelle dei nonni, presi dal lavoro in campagna, o della zia Cloe, una donna piena di vita, passione e libertà, uno spirito libero che ha insegnato al giovane Pinin a credere in se stesso e a non arrendersi mai, tenendo fede ai propri ideali fino alla morte. Tutte figure a cui Pinin si trova a ripensare, confrontando la propria vita (anch'essa in solitudine!) con quella di Leon e notando come il punto di partenza fosse diverso: lui, a differenza di Leon, aveva i suoi affetti, lui aveva le persone che lo amavano e credevano in lui e anche se si è allontanato da loro (perché la vita è così) il cuore è rimasto con loro; Leon, invece, non aveva nessuno, incompreso dal fratello e dai genitori, che non si sono neppure presi la briga di denunciarne la scomparsa.
Un dramma familiare quindi, che l'autrice presenta però con uno stile veloce, accattivante, funzionale alla storia, che non annoia, non deprime, ma anzi invoglia ad andare avanti. Complice, al riguardo, la scelta di alcuni termini dialettali che a volte vengono utilizzati nel linguaggio parlato, per entrare meglio nel personaggio, e una descrizione semplice ma efficace dei paesaggi, ricreati soprattutto in base alle atmosfere e alle emozioni che suscitano (come l'incontro col vecchio Sergio, con tutto il suo profumo di mare, o il ritorno alla casa della zia Cloe, i cui oggetti giacciono tutti a prendere polvere negli scatoloni, che spinge Pinin a far rivivere quella casa, e forse a vivere anche!).
"Rimasi a guardare la foto, toccandola con l'indice come a determinare i contorni delle quattro donne. Mi avevano amato, sotenuto, capito. Mi avevano dato delle sberle, istruito, accudito, rimproverato. Mi avevano spiegato, con gesti e parole, la vita."
Emozioni, affetti, e a volte anche un groppo al cuore. L'autrice riesce a far emozionare (oltre che, in altri momenti, a divertire) perché gli affetti di Pinin sono anche i nostri, quelli delle persone comuni, che hanno avuto qualcuno che ha creduto in loro, come l'arcivescovo o Sergio o la Zia Cloe, combattendo per loro, spingendoli a rischiare, a mettersi in gioco, a crearsi una vita, senza lasciare che la vita li sopraffacesse, come accade ad esempio alla signorina. Personaggi veri, reali, umani, che traghettano Pinin verso la scoperta. Della verità su Leon, e anche su di sé.
Al riguardo, il finale è a dir poco esplosivo.
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