lunedì 25 settembre 2017

Dietro le quinte di "Ulfhednar War": simboli e leggende

Dietro le quinte di “Ulfhednar War”: simboli e leggende

Bentornati, amici dei mondi fantastici, a un nuovo articolo su “Ulfhednar War”. Dopo aver parlato di personaggi e ambientazioni (negli articoli precedenti che potete trovare cliccando su UlfhednarWar nei tag in fondo all’articolo), oggi vi parlo di alcuni simboli e leggende citate nel romanzo e di come li ho rielaborati per adattarli alla trama.


Degli ulfhednar abbiamo parlato in questo articolo: i leggendari guerrieri lupo di Odino, fedelissimi al Dio Grigio al pari dei berserkir. Sempre dalla mitologia nordica provengono concetti come Gridastadr (località amena, luogo di pace e beatutidine), che nel romanzo è la baita dove vivono gli ulfhednar, così chiamata da Alois quando la eresse che voleva farne una casa, un rifugio per tutti i lupi fuggiaschi e le creature dei boschi impaurite dal fuoco dei Figli di Cardea, oppure come berserksgangr, ovviamente (la furia guerriera che invade gli ulfhednar e li porta verso il loro lato animalesco), Varar (giuramento, il culmine del rito di mutazione) e Fostbroederlag, ossia la fratellanza di sangue, un legame marchiato col sangue che va oltre i legami normali e familiari. Come il patto che lega gli ulfhednar ai propri compagni.

Passiamo agli officianti. Così, nel romanzo, sono chiamati gli stregoni. Non volevo infatti ritrovarmi con l’ennesimo stregone o mago, quindi ho recuperato questo termine, che alla lettera significa: colui che celebra una funzione sacra. Un termine che ha una valenza importante, religiosa, in molti culti, e che quindi trovo si presti benissimo per indicare tutti gli streghi, maghi, stregoni e quant’altro. Ricordiamo, infatti, che gli officianti sono signori dei boschi e della natura, e che vivono (o dovrebbero vivere) in comunione e in rispetto con le forze della natura, senza violentarle, bensì servendosene, attingendo all’energia naturale, canalizzandola e facendola propria. Inoltre gli officianti (come Aris) sono coloro che creano gli ulfhednar, che celebrano il sacro rito di unione dell’uomo al lupo, forse il loro compito più importante.

Come ricorda Faust durante la battaglia alla Grande Quercia:
«Non conosci la storia della nascita degli ulfhednar? È strano, Alois avrebbe dovuto parlartene. Fu Odino a crearli, all’alba dei tempi. Odino, il Dio grigio, come il colore del tuo manto, inventò il seidhr, la magia, che i moderni officianti chiamano sidhe, dal gaelico. Egli conosceva le rune e i galdrar, canti magici con cui piegava gli elementi, scioglieva nodi e cambiava aspetto, mutando in tutto ciò che voleva. Egli fu il primo Hamrammr e il primo Seidmadr, fu mutaforma e stregone, era un Dio del resto e poteva essere tutto. Consapevole di quanto fosse pericoloso risvegliare la natura animalesca in un uomo, pose un officiante a vegliare su ciascun ulfhedinn, numi tutelari per bilanciare la berserksgangr.»
Parliamo di Faust, quel simpaticone. Onestamente, è uno dei miei personaggi preferiti. Non dovrei avere preferenze ma vedere il modo in cui si attacca alla vita, la forza e la determinazione che mette in ogni sua azione mirante unicamente alla sopravvivenza è qualcosa di unico, di spettacolare, che molte persone dovrebbero imparare, per volersi bene un po’ di più. Certo, lui ovviamente esagera e porta all’estremizzazione il concetto di sopravvivenza, anche a scapito degli altri, però di sicuro è un personaggio deciso, che sa ciò che vuole.

La sua figura è ispirata a un certo Georgius Sabellicus, detto Faust Jr, realmente vissuto a metà del Cinquecento. Girava per l’Europa, come ciarlatano itinerante, spacciandosi per guaritore, mago, veggente ecc. Ho ripreso questa immagine per creare quella di Faust Sr, padre del nostro amato antagonista, che era un officiante girovago, senza molta cognizione di causa sui suoi poteri. Li possedeva, certo, i doni della Madre Terra scorrevano in lui, eppure non sapeva farne grande uso. A volte aiutava i malati e i bisognosi, ma spesso era costretto a fuggire per non farsi catturare dai Figli di Cardea e bruciare vivo.

Durante il suo peregrinare sui monti Sabini incontra questo bambino, e sente che in lui c’è una grande forza latente, e decide di prenderlo con sé. Detta così, sembra proprio quando Qai-Gon incontra Anakin…

Il nome, Faust, deriva ovviamente dal personaggio di un racconto popolare tedesco.

Tra i simboli legati a Faust c’è sicuramente quello del triskel, uno dei più antichi dell’umanità, dotato di molteplici significati, diversi a seconda della cultura di riferimento. Tre spirali intrecciate, unite assieme.
«Suppongo tu ne conosca i suoi innumerevoli significati. Nel corso del tempo ha indicato le tre età dell’uomo, la triplice natura della Dea Madre, le fasi solari o l’unione dei tempi e questa è l’interpretazione che prediligo: passato, presente e futuro in un’unica dimensione, un qui e ora colmo di energia pulsante. Il triskel rappresenta la forza della creazione e mi ricorda che ogni nuova vita va a sommarsi a quelle precedenti, divenendo una sola infinita esistenza» spiegò lo stregone. «Ne intaglio sempre uno nuovo, ogni volta in cui mi affaccio a una nuova finestra della vita.»
Nel caso di Faust, rappresenta il mutamento, il suo essere in perenne movimento, costretto a un presente in fuga, senza mai guardarsi indietro, senza mai guardare il passato, proiettato verso un futuro incerto. L’unione di tre tempi in un unico momento del tempo cosmico.

Concluderei con i galdrar, a cui potremmo in realtà dedicare un articolo unico. Cosa sono? I galdrar (parola norrena) sono semplicemente i canti magici di Odino, quelli che il Dio grigio conosceva e che riuscivano a fare tante belle cose, come smussare le armi in battaglia, guarire, guardare lontano e molto altro. Di fatto, gli officianti (discendenti di Odino e della Prima Congrega) hanno imparato a padroneggiare i canti magici, per cui li hanno ridotti a una sola parola, una Parola di Potere, che serve per canalizzare le forze della natura necessarie a lanciarli.

Ecco alcuni, usati da Ascanio e Faust nel corso di “Ulfhednar War”:
Féath fíadha (druidico): magiche nebbie dell’invisibilità.
Saighéan (druidico): improvvisa raffica di vento o lampo di luce.
Doineann (gaelico): tempesta.
Dùisg! (gaelico): “Svegliati/Sorgi!”
Loisg! (gaelico): “Brucia!”
Loisg gu bàs! (gaelico): “Brucia fino alla morte!”
Lorgaich! (gaelico): “Traccia/Segui!”
Thoir ort! (gaelico): “Vattene!”


Ce ne sono molti altri. Quanti sono in tutto i galdrar? C’è chi dice siano nove, come i mondi in cui Odino si è spostato, chi dice siano molti di più. Lo scopriremo nel secondo libro “I figli di Cardea”, in uscita a maggio 2018. Vi aspetto! Buon viaggio con i miei lupi!

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